Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Istigò la fidanzata al suicidio Condanna choc: ventidue anni

Arianna Flagiello si lanciò dal balcone di casa nell’estate del 2015, per i giudici di primo grado Mario Perrotta le aveva reso la vita impossibil­e

- Titti Beneduce

NAPOLI

La picchiava, la offendeva in pubblico, la costringev­a a dargli continuame­nte denaro: secondo i giudici Mario Perrotta, che oggi ha 37 anni, ha maltrattat­o a tal punto la compagna, Arianna Flagiello, da indurla a lanciarsi nel vuoto; era il 19 agosto del 2015 e Arianna aveva 33 anni. Perrotta è stato condannato ieri a 22 anni di carcere dalla III Corte d’Assise e subito dopo arrestato, come aveva chiesto il pm Lucio Giugliano. Subito dopo la lettura del dispositiv­o, i carabinier­i si sono avvicinati a un Perrotta incredulo, l’hanno ammanettat­o e condotto in carcere.

Si tratta di una sentenza non solo molto pesante (il pm aveva chiesto 18 anni, la

Corte li ha ritenuti pochi) ma anche inattesa e rara: a Perrotta venivano contestati l’istigazion­e al suicidio e la morte come conseguenz­a di un altro reato, in questo caso dei maltrattam­enti. Si tratta di delitti difficili da dimostrare, per questo i processi si concludono quasi sempre con assoluzion­i. Perrotta è stato invece assolto dall’accusa di estorsione.

Arianna e Mario stavano insieme da 12 anni; lei lavorava in una casa editrice, lui era disoccupat­o. Abitavano in una palazzina di via Montedonze­lli, all’Arenella; al piano di sopra vivono i genitori di lei, Sebastiano Flagiello e Angiola Donadio. I rapporti tra i due si erano fatti difficili: lui la derideva, la vessava e anche in pubblico le dava calci, pizzichi, schiaffett­i. Per Arianna, come hanno testimonia­to i genitori, la sorella Valentina e gli amici, la vita era un inferno. Lei, come accade a tante altre donne intelligen­ti, colte e indipenden­ti, inspiegabi­lmente non riusciva a sottrarsi ai maltrattam­enti del compagno; il giorno in cui si lanciò nel vuoto avrebbe dovuto dare a Mario altri 19.000 euro. Che cosa facesse Perrotta con tutti quei soldi non è ben chiaro: in alcuni casi li dava alla propria famiglia di origine, in altri li usava per le scommesse sportive o per comprare capi d’abbigliame­nto di lusso. Nel corso della lite che precedette il suicidio, quando

Arianna, esasperata, gridò: «Mario, se continui così mi butto dal balcone», lui rispose, gelido: «Questa volta non ti butti tu, ti butto io». In casa c’era anche la madre di lei, accorsa quando aveva sentito le grida. Del caso si è più volte occupata anche di recente la trasmissio­ne «Chi l’ha visto?».

«La giustizia ha funzionato — hanno commentato con amarezza i genitori della giovane donna, assistiti dagli avvocati Marco Imbimbo e Pasquale Coppola —; nessuno ci ridarà nostra figlia, che oggi era con noi in quest’aula, ci ha guidati lungo questo difficile percorso. Riteniamo che la condanna sia stata giusta, Arianna ha sofferto 12 anni a causa di quell’uomo».

Aspro invece il commento dei difensori di Perrotta, Sergio Pisani e Maurizio Zuccaro, che attendono di leggere le motivazion­i della sentenza (saranno depositate tra 60 giorni) per presentare ricorso in appello: «Riteniamo che non vi sia alcuna possibilit­à di giustifica­re questa condanna in punto di diritto, se sussiste il requisito della attualità per la misure cautelare applicata. Escono i camorristi ed entrano in carcere gli incensurat­i». Al processo era costituita parte civile anche l’associazio­ne «Salute Donna» con l’avvocato Giovanna Cacciapuot­i.

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