Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Fedi e bracciali raccontano la lotta per la vita

Un mercoledì di pioggia davanti agli ex uffici del Banco di Napoli: una guardia giurata gestisce gli ingressi di persone aggrappate alla speranza

- di Maurizio de Giovanni

Presi dall’emergenza e dalle valutazion­i su un difficile presente ci si può distrarre, e perdere l’occasione di gettare le basi per una strategia di medio periodo. La cosa non sfugge al governator­e della Regione Campania, che (inutile negarlo) è sicurament­e il vero vincitore a livello nazionale dell’emergenza Covid. Con un’innata, immensa capacità di reggere la scena, un utilizzo degli slogan e delle frasi a effetto degno del più consumato autore di sceneggiat­ure e il piglio decisionis­ta che in un momento del genere è assolutame­nte necessario, De Luca dimostra anche una certa lungimiran­za.. Se i contagi sono largamente sotto il limite dell’attenzione e se le terapie intensive vanno svuotandos­i , allora la Campania è sicura. Un marchio da vendere, da proporre, da collocare adeguatame­nte. Per noi la sensazione forte di essere ancora in buone mani.

Quando piove, la miseria sparisce. Si confonde nel resto, nascondend­osi tra i rivoli di melma che dai Quartieri Spagnoli scendono a valle, guizza sotto gli ombrelli colorati della gente in fila. Gli ombrelli. Loro non fanno nessuna differenza, hanno smesso da un pezzo di tener conto delle differenze sociali. Siamo tutti uguali quando cerchiamo riparo nella tempesta. Eppure da queste parti un bracciale racconta la storia di una ristruttur­azione, l’anello di fidanzamen­to quella di un piatto di pasta, un antico orologio la sicurezza ormai perduta. È l’oro di Napoli e dei napoletani. Un tesoro di gioielli custodito nelle casseforti del Monte Pegni di via San Giacomo, un tempo sede del Banco di Napoli, che racconta le storie di tutte le mani, le dita, i polsi, i colli e i petti di chi li ha indossati. Angolo di mondo in cui se ne sta sotto la pioggia, afflitta e innervosit­a dal lockdown, una folla in attesa del proprio turno. Ma che cosa aspetta? Aspetta di impegnarsi l’oro, di pesarlo come la frutta e la verdura al mercato, di rinnovare la polizza, di versare gli interessi e allungare una volta ancora la più temibile delle scadenze: il giorno in cui tutto sarà perso. È la lotta per la vita: guadagnare tempo, comprarsi semestri di battaglia, danzare con la morte dandogli del tu. Nel lungo periodo, queste persone spogliate dai loro gioielli aspettano di perdere tutto. Nel breve, che la guardia giurata esca e dichiari arrivato il loro turno. La scaletta degli appuntamen­ti è saltata, nessun incontro fissato on line da un assistente virtuale sarà in orario nella realtà di questa mattinata di “malacqua”. Altro paradosso del tempo pandemico che stiamo attraversa­ndo senza protezioni collettive: virtuale e reale non parlano la stessa lingua, non condividon­o più il codice. È come se il mondo fosse starato e non girasse più sul suo asse. Come la bilancia del piccolo gioiellier­e di Borgo Orefici che non combacia negli esiti con quella della banca, secondo lui. «Ci fregano» mi dice sbraitando. Sono dieci minuti che va avanti così. E menomale, mi dico, che non gli ho ancora raccontato che pubblicher­ò questo racconto su un giornale. «Ci fregano, ci fregano». Allora perché portargli tutto l’oro del negozio, gli chiedo. «Perché è più sicuro tenerlo conservato qui che in gioielleri­a» risponde. «Di questi tempi non c’è nessuno che abbia voglia di entrare in un’oreficeria, a parte un rapinatore». Il deserto come orizzonte, il vuoto delle città che non svanisce con la Fase 1. La guardia giurata esce e urla «avanti un altro», qualcuno se ne lamenta. Di questo passo, il suo turno non arriverà mai. «Ma chi li ha fatti gli orari degli appuntamen­ti?» chiede una donna con l’ombrellino rosa e una polizza da rinnovare per riprenders­i i bracciali, gli anelli e le collanine del banchetto nuziale. «Fu un giorno bellissimo», mi racconta. «Ci siamo sposati senza dirlo a nessuno, facemmo una fuitina come si deve...». Sorride, ripensando a quel tempo che non dev’essere poi così lontano a giudicare dai suoi occhi ancora luminosi. È più giovane di me, non c’è traccia di miseria nel suo portamento popolare. «La miseria vera qui non c’è, perché l’oro da impegnarsi i poveri nemmeno ce l’hanno...», mormora. L’argomento riscuote un certo consenso in fila. In effetti, nessun povero si riconosce tale. Se lo facesse avrebbe l’obbligo di solidarizz­are con gli altri e cominciare la rivoluzion­e. Annosa questione della coscienza di classe. Ma a non percepirsi impoverito c’è soprattutt­o quel ceto medio che si è ritrovato a un tratto senza coperta e con i preziosi della nonna diventati l’estremo baluardo, il prestito-ponte per una vacanza, per la tinteggiat­ura delle pareti, oppure sempliceme­nte per mettere il piatto in tavola in attesa che «Sto covìd passi...». Alla fine l’unico a mostrarmi dal vivo un oggetto è un uomo sulla sessantina, voce roca e fiato corto. È una collana dorata che porta fiero sul petto villoso, colletto della camicia sbottonato. Anche lui ha una polizza da rinnovare, ma non è detto che all’ultimo istante non decida di impegnarsi la collana. «Mia figlia stava ristruttur­ando casa, ma col virus ha perso il lavoro e non ha i soldi per ricomincia­re..». Intravedo un segno di speranza in questo dissennato convincime­nto: prepariamo­ci la casa al meglio, il resto si vedrà. All’improvviso, la pioggia si ferma. Per qualche minuto possiamo dar fiato alle

Un uomo, voce roca e fiato corto: mostra la collana dorata che porta fiero sul petto villoso

nostre braccia anchilosat­e. Finalmente, sussurra qualcuno. Tutti chiudono l’ombrello ed ecco che io la vedo: è la miseria. Sbuca fuori appena smette di piovere. Quello è il momento in cui ti chiedi: chi uscirebbe di casa in un piovoso mercoledì napoletano, con la paura del virus, indossando una mascherina, con le lenti appannata e bagnate dall’acqua che scende giù a catinelle? Bisogna avercela dentro bene, la miseria, per non riconoscer­la a se stessi. Non è necessario essere poveri.

La guardia giurata esce, dice che non ce la si farà a entrare tutti, bisognerà rinviare gli appuntamen­ti. Ma come? E la procedura on line? E l’assistente virtuale con la sua presunzion­e di infallibil­ità? «Tornate domani» risponde lui sconsolato. Niente da fare. L’algoritmo pensato da un impiegato imbelletta­to e al riparo di uno schermo, uno dei tanti ingegneri del nostro tempo, ha fallito. La realtà è nel caos e la quotazione dell’oro è alle stelle. E nemmeno quando piove, la miseria sparisce.

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Napoletani in attesa davanti agli uffici dei Pegni: rate da pagare, esigenza di mangiare
La speranza Napoletani in attesa davanti agli uffici dei Pegni: rate da pagare, esigenza di mangiare
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