Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Sbreglia: divieti eccessivi ma precauzioni necessarie
sanitaria. Si è sbagliato a comunicare le giuste precauzioni da assumere: si sono usati toni perentori piuttosto che rendere consapevoli tutti. Mi sono occupata per anni di Hiv, ho fatto tanti incontri con i ragazzi a scuola. Volevo capire quale fosse il loro grado di conoscenza. Ebbene, anche se di Aids si è parlato a lungo e in modo martellante sui media, mi rendevo puntualmente conto che il sentito dire non suscitava alcuna consapevolezza. Come se l’Hiv fosse una leggenda, un problema distante».
Un po’ come avviene ora con il coronavirus?
«Chi ha avuto la fortuna di non farne esperienza diretta o indiretta continua a sottovalutarlo. Ma ripeto: sarebbe stato sufficiente suggerire alcune misure di tutela sanitaria, senza far diventare tutti geometri. E poi: imporre l’uso dei guanti. Va bene se li usi una volta sola, ma noto gente che li indossa pure quando guida l’auto».
È vero che il virus si è indebolito?
«Quello che abbiamo conosciuto all’inizio era un virus, diciamo, giovane e vivace e quindi particolarmente aggressivo. Ma il suo interesse è di convivere nell’uomo. Come l’Hiv che continua a circolare».
Dobbiamo stare attenti all’ondata autunnale?
«Sì, per la sovrapposizione al virus stagionale. Ma per il resto sono ottimista: l’esperienza maturata in questi mesi ci ha insegnato tantissimo. Sappiamo che bisogna agire con immediatezza, puntare sulla rapidità della ospedalizzazione, e conosciamo anche meglio l’efficacia delle terapie anticoagulanti per contenere i trombi».
Ritiene che lo screening con i tamponi sia indispensabile o si rischia di fare la fine di Achille che insegue la tartaruga senza mai raggiungerla?
«Il virus non lo raggiungeremo mai. Ma lo screening è importante se fatto in modo serio tra gli appartenenti alle categorie a rischio: con patologie serie o anziani che vivono nelle residenze. È l’unico modo per anticipare i tempi sul contagio».
Vero che i danni polmonari restano pesanti?
«Si tratta di polmoniti serie che lasciano cicatrici. Dovremmo porci il problema di seguire nel tempo chi si è ammalato».