Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Unificare l’Italia Il sogno di Murat
L’impresa, da Sud verso Nord, tentata da un re di Napoli Prima di lui Ladislao I
«Italiani! L’ora è venuta che debbono compiersi gli alti vostri destini. La Provvidenza vi chiama infine ad essere una nazione indipendente. Dall’Alpi allo stretto di Scilla odasi un grido solo «L’indipendenza d’Italia!» Ed a qual titolo popoli stranieri pretendono togliervi questa indipendenza, primo diritto, e primo bene d’ogni popolo? A qual titolo signoreggiano essi le vostre più belle contrade? A qual titolo s’appropriano le vostre ricchezze per trasportarle in regioni ove non nacquero? A qual titolo finalmente vi strappano i figli, destinandogli a servire, a languire, a morire lungi dalle tombe degli avi?…. Ottantamila Italiani degli Stati di Napoli marciano comandati dal loro re, e giurarono di non domandare riposo, se non dopo la liberazione d’Italia… Italiani delle altre contrade, secondate il magnanimo disegno! Torni all’armi deposte chi le usò tra voi, e si addestri ad usarle la gioventù inesperta….».
Quarantacinque anni prima della incontrastata cavalcata di Garibaldi che avrebbe consegnato il Regno delle Due Sicilie a Vittorio Emanuele II, l’unificazione dell’Italia era stata tentata all’incontrario, dal Sud verso Nord, da Gioacchino Murat, re di Napoli per volontà di Napoleone Bonaparte. Siamo nei primi mesi del 1815 e quelle parole volte a sollevare le popolazioni del Centro-Nord sono estrapolate dal Proclama di Rimini attraverso il quale il quarantottenne cognato dell’imperatore, maresciallo dell’impero, lanciava con determinazione la sfida all’Austria, la forza straniera più potente presente sul territorio della Penisola, e chiedeva l’appoggio degli italiani per la creazione di uno stato unitario.
Ritornava così dopo 400 anni nella mente di un re di Napoli l’idea di unificare la Penisola partendo da Sud. A provarci era stato Ladislao I d’AngiòDurazzo il Magnanimo agli inizi del 1400, dopo aver domato le rivolte interne dei baroni. Il suo sogno era di riuscire a creare un Regno d’Italia (come stava accadendo allora in molte altre nazioni) e cominciò presto ad espandersi, entrando in conflitto con lo stato pontificio in tre diverse occasioni tra il 1405 e il 1413, conquistando sempre Roma e facendone la base per la conquista dei territori dell’Italia centrale. Con Firenze come primo obiettivo. Agli inizi del 1414 Ladislao era pronto ad invadere le regioni del nord Italia e Firenze, quest’ultima divenendo nuovamente suo primo bersaglio. Ma i progetti dell’ambizioso sovrano erano destinati a non realizzarsi mai. Colpito da una malattia, re Ladislao I rientrò a Napoli, dove morì il 6 agosto 1414 ad appena 38 anni. Probabilmente non per cause naturali, bensì per avvelenamento, messo in atto da Firenze per liberarsi della sua minaccia. In realtà, si sa che la morte fu dovuta a una malattia infettiva dell’apparato genitale causata dalle abitudini sessuali dissolute e promiscue. Con la sua scomparsa, senza lasciare eredi, la corona di Napoli passò alla sorella Giovanna, che fece costruire l’imponente e splendido monumento sepolcrale nella chiesa di San Giovanni a Carbonara che resta a perenne memoria di Ladislao.
Quattrocento anni dopo, è Gioacchino
Murat a riprovarci. Un po’ per salvaguardare il suo trono dal ritorno di Ferdinando IV dalla Sicilia, come aveva ormai deciso il Congresso di Vienna, un po’ per cercare di dare una mano al cognato Napoleone, che era fuggito dall’isola d’Elba e voleva riconquistare il suo impero. Un modo anche per riscattare il “tradimento” di due anni prima, quando Murat aveva abbandonato Napoleone dopo la sconfitta di Lipsia.
La guerra austro-napoletana ha inizio il 15 marzo 1815: dopo avere lasciato un contingente a difesa del Regno, Murat spinge il suo esercito verso il centro-nord Italia. Sostiene di aver raccolto circa 82.000 uomini, inclusi 7.000 cavalieri e 90 cannoni, in realtà aveva a disposizione circa 45.000 uomini. Le forze napoletane occupano lo Stato pontificio, costringendo papa Pio VII a fuggire a Genova, poi le Marche (Murat pone ad Ancona il suo quartier generale) e, infine, si spingono fino in Romagna. A Rimini, il 30 marzo Murat emette il famoso Proclama con il quale incita gli italiani alla guerra contro l’Austria. Ma la sua politica ambigua – molti pensavano che la guerra servisse solo a difendere la sua corona – e la resistenza nel concedere una costituzione gli alienano l’appoggio della popolazione. Le conquiste di Firenze (8 aprile), Bologna, Reggio Emilia e l’inizio dell’assedio di Ferrara portano Murat a pianificare l’invasione dell’ex Regno d’Italia. Il tentativo di occupare la Pianura padana si trasforma però in un disastro: il generale austriaco Johann Maria Philipp Frimont sconfigge l’esercito napoletano nella battaglia di Occhiobello (8-9 aprile), contemporaneamente le truppe austriache liberano dall’assedio Ferrara. Da questo momento in poi le forze austriache prendono l’iniziativa appoggiate anche dall’intervento della flotta britannica nell’Adriatico. Lo scontro decisivo avviene il 2 maggio 1815 a Tolentino, in una battaglia che è stata spesso definita come la prima delle Guerre d’indipendenza: con questa sconfitta e la successiva rapida avanzata degli austriaci verso Napoli, Murat che ormai si rende conto di non poter contrastare più gli avversari, è costretto a fuggire, prima in Corsica e poi a Cannes. Il 23 maggio, dopo la firma del trattato di Casalanza di tre giorni prima, gli austriaci entrano a Napoli rimettendo sul trono Ferdinando IV (diventato Ferdinando I delle Due Sicilie).
Murat, però, non si arrende, tenta di rientrare nel Regno di Napoli l’8 ottobre 1815, ma il suo progetto fallisce miseramente: osteggiato dalla popolazione e catturato, viene fucilato a Pizzo Calabro. Quarantacinque anni dopo Garibaldi gli rende omaggio nella sua marcia verso Napoli, grazie a lui l’Italia sarebbe stata finalmente unita. Ma dal Nord verso il Sud.