Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Giordano Bruno, precursore del digitale
Il nuovo corso della Fondazione dedicata al filosofo nolano, precursore dell’universo digitale
Oggi, come potete vedere dall’annuncio pubblicato qui a fianco, si svolgerà in modalità telematica l’inaugurazione del nuovo corso della Fondazione Parco Letterario Giordano Bruno.
Michele Ciliberto e Sebastiano Maffettone, autori di questo articolo, ne saranno rispettivamente presidente del Comitato scientifico e presidente della Fondazione. Nell’occasione, verranno presentati le linee programmatiche e i progetti in itinere della Fondazione. Questi saranno incentrati sul recupero critico della figura e delle opere di Giordano Bruno, e sullo sviluppo del mondo digitale. È, per noi, motivo di soddisfazione sottolineare il fatto che parteciperanno a questo atteso evento di inaugurazione- anche il ministro dell’Università e della Ricerca, il presidente della Regione Campania, il sindaco di Nola, il rettore dell’Università Federico II di Napoli, il direttore generale Luiss Guido Carli.
Giordano Bruno è da tempo ritenuto una sorta di precursore dell’universo digitale, e — come è naturale — per affrontare questi temi si intende partire dalle opere lulliane di Bruno che sono proprio quelle che consentono di identificare in lui un predecessore dell’algoritmica contemporanea. In questo ambito, la Fondazione ha già avviato, nel primo periodo di attività, collaborazioni con la l’Università Federico II di Napoli, la Luiss di Roma e con l’Università di Salerno, per poi allargarle a livello nazionale e internazionale. In particolare, il focus sarà sul modo in cui la progressiva trasformazione in dati e connessioni del mondo reale influenza il campo della comunicazione e la maniera con la quale vengono percepiti suo tramite i valori morali e politici.
È allo studio l’ipotesi di creare un Archivio Aldo Masullo, basandosi anche sulle origini nolane di Masullo stesso, oltre che sul vivo interesse che il suo lascito intellettuale suscita. Fra i progetti previsti riguardanti più direttamente il personaggio Giordano Bruno, la Fondazione prevede l’organizzazione di un convegno nel 2021 sul filosofo, e una mostra di Arte Contemporanea sulla figura di Bruno. Da diversi anni infatti, l’opera del filosofo nolano è — cosa sconosciuta ai più — al centro dell’interesse anche degli artisti visuali. Si associa a questo un progetto di digitalizzazione e arte contemporanea. Sono allo studio anche ipotesi di ricerca nell’ambito di un paradigma di filosofia della scienza non riduzionistico con svariati gruppi di lavoro in Italia e all’estero. Tutto ciò per illuminare nella misura del possibile la figura di Giordano Bruno e sottolineare l’utilità di studiarne l’opera al momento attuale.
Ciò è complicato dal fatto indubbio che gli italiani hanno un rapporto singolare con la propria storia di cui stentano a riconoscere la grandezza. Sarebbe interessante comprendere le ragioni di questo atteggiamento che certo ci sono, ma non è questa la sede. È sufficiente però dire che l’Italia ha dato un contributo decisivo alla costruzione delle libertà dei moderni, a cominciare dal principio della libertas philosophandi. È un’opera alla quale hanno partecipato personalità di primissimo piano come Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Pietro Giannone, Cesare Beccaria, per limitarsi a fare solo qualche nome. Senza l’Italia e gli italiani, le libertà dei moderni semplicemente non esisterebbero.
A questa costruzione — che costò sacrifici, persecuzioni, a volte anche la morte —, Giordano Bruno ha dato un contributo decisivo. Basta pensare alla lettera dedicatoria a Rodolfo II d’Asburgo degli Articuli adversus mathematicos nella quale Bruno fa un elogio indimenticabile della libertà di pensiero e della tolleranza religiosa, evocando la figura di un Dio che ama tutti gli uomini senza alcuna differenza. È il principio della filantropia che costituisce una struttura fondamentale della sua filosofia.
Valorizzando questo aspetto della sua personalità nella seconda metà dell’Ottocento, specialmente ad opera della cultura massonica, è stato creato il mito di Bruno «martire del libero pensiero», che sarebbe perciò andato impavido incontro alla morte, desideroso anche di morire, per affermare il valore della propria filosofia e della libertà di pensiero. È un bel mito, anzi una leggenda, ma non corrisponde alla realtà.
Se si vanno a vedere gli atti del processo durato per circa 80 mesi si vede che Bruno lotta giorno dopo giorno per riuscire a salvare la propria vita e il destino della sua filosofia. Fa impressione leggendo quelle pagine vedere come si batta per non perdere terreno e per cercare di riuscire a salvare la propria vita, un obiettivo per lui decisivo. Bruno non voleva morire e combatte fino all’ultimo per salvarsi. Leggendo gli atti processuali si constata che fino al settembre del 1599 (quindi fino a poco tempo prima del rogo) il processo non si era ancora compiuto perché Bruno non era ancora convictus, non se ne era cioè dimostrata in maniera definitiva la colpevolezza.
Colpisce vedere le posizioni dei vari componenti del Tribunale dell’Inquisizione che si dichiarano a favore della tortura, da infliggergli addirittura due volte, secondo il generale dei Domenicani Ippolito Beccaria: a suo giudizio solo a seconda di quello che Bruno avrebbe confessato si sarebbe dovuto stabilire se era colpevole. Fu poi il papa ad intervenire in prima persona nel processo sostenendo che quello che Bruno aveva riconosciuto nei vari interrogatori era sufficiente, che quindi non era necessario torturarlo e che, oltre a riverificare nuovamente le testimonianze degli accusatori, si poteva stabilire la data entro cui doveva abiurare. Ma fu a questo punto che Bruno, sentendo di non avere più alcuno spazio di manovra, decise di morire sul rogo dopo aver dichiarato che non aveva nulla di cui pentirsi. Era persuaso — e la storia gli ha dato ragione — che questo era l’unico modo per salvare sia sé stesso che la sua filosofia: è da quel rogo acceso a Roma il 17 febbraio del 1600 che nacque un mito diventato nei secoli, una grande leggenda.
Leggenda e realtà che ci inducono a riflettere — anche sulla scorta di Bruno — sui nostri tempi in un momento, come questo, affatto speciale. In cui, sotto l’onda dell’emozione, atterriti dalla morte, scioccati da un evento inatteso e devastante facciamo persino fatica a riflettere sul ruolo fondamentale della cultura La pandemia da covid-19 non è in effetti una crisi come le altre. Rappresenta piuttosto l’apice di una curva che indica un cambio di civiltà. Ci aspetta quella che Giordano Bruno chiamava «Renovatio mundi», cui corrisponde un salto nell’evoluzione culturale.
L’evoluzione biologica richiede un’enorme pressione dall’ambiente per avere luogo. Il cambiamento culturale molto meno. Tradizionalmente, si pensava che l’evoluzione biologica avvenisse del tutto a caso. Nell’ultimo periodo, in base a visioni più sistemiche, si comincia a pensare che forse cambiamenti epigenetici possono influenzarla al mutare del contesto ambientale. Si potrebbe azzardare che — a maggiore ragione — qualcosa di simile dovrebbe valere per l’evoluzione culturale. La pandemia da covid-19 potrebbe convincerci a rimodernare la nostra casa, sarebbe a dire la nostra nicchia ecologica. Il ruolo della cultura in ciò consiste nell’imparare a tenere in maggiore considerazione la complessità sistemica del contesto entro il quale operiamo. Complessità sistemica che ci impone da un lato di pensare e operare in termini di intelligenza collettiva, dall’altro lato, di favorire una robusta resilienza della natura.
Intelligenza collettiva vuol dire che i grandi problemi di oggi non si risolvono in solitario. Se il caso volesse fare nascere un altro Giordano Bruno, non sarebbe con ogni probabilità una persona ma un gruppo. E un gruppo interdisciplinare e multitasking. La tradizionale e sana abitudine accademica alla specializzazione non funziona più. Nel senso che non è più in grado di risolvere i grandi problemi che ci stanno di fronte, dall’ambiente alla finanza, dalla povertà alle epidemie. Questo, per intenderci, non vuol dire che dobbiamo abbandonare le competenze individuali, ma semplicemente che dobbiamo integrarle. Perciò parliamo di intelligenza collettiva. La pandemia da covid-19 ci rende evidente tutto questo.
Simile argomento si potrebbe adoperare per quella che abbiamo chiamato resilienza della natura. Quella natura che noi abbiamo violentato e offeso in nome del successo economico e del progresso tecnologico. Si può legare il discorso sulla salute pubblica con quello sulla tutela della natura. Non sono la stessa cosa, ma più andiamo avanti più si scopre l’interdipendenza tra di loro. Non ha più senso continuare a lavorare contro il contesto ambientale nell’ottica miope di un guadagno immediato. Il tempo in cui si poteva farlo, ammesso che sia mai esistito, oggi è finito. Negli ultimi giorni, abbiamo visto qua e là riaffiorare presenze dimenticate di flora e fauna. Animali e piante sono ricomparsi sul palcoscenico del mondo senza di noi. La tesi basata sulla resilienza della natura è che invece devono farlo non senza, ma con noi. In una più armoniosa ontologia del vivente La cultura deve accompagnarci anche in questo percorso alla ricerca di una nuova sostenibilità sistemica.