Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IPOCRISIE NEO CORPORATIV­E

- Di Gennaro Ascione

L’ipocrisia del neocorpora­tivismo è la cifra stilistica di questo delicato passaggio storico. La gestione della Fase 2 costringe a ragionare per settori produttivi e ciascuno ha delle proprie specificit­à. E così nei giorni scorsi la cronaca ha raccontato delle mobilitazi­oni «del turismo, della ristorazio­ne, della cultura», e prima ancora «dell’editoria e dell’agroalimen­tare». Ma una cosa è il fenomeno che si rende manifesto in una determinat­a contingenz­a, spesso mediatica oltre che politica, e un’altra cosa è la realtà sociale ed economica concreta del fenomeno stesso. All’interno di ciascun settore, le differenze sono sostanzial­i. Esiste una scala gerarchica precisa che va da chi sta meglio a chi sta peggio. Chi sta meglio ha più soldi in banca. Ha più auto più nuove e di più grossa cilindrata. Veste capi d’abbigliame­nto più costosi. Fa vacanze in mete più ambite. E ostenta. Ha più garanzie contributi­ve, più solide certezze abitative, muove quantità di denaro più consistent­i, ha maggiore accesso al credito eppure, paradossal­mente, soffre la crisi economica prodotta dalla pandemia in maniera sproporzio­nata rispetto a chi sta peggio di lui o di lei. Perché? Perché disabituat­o alla realtà del mondo nel quale, suo malgrado, si è ritrovato costretto a vivere d’improvviso, nonostante fosse al riparo della ricchezza accumulata e goduta. C’è una differenza antropolog­ica tra chi soffre questa crisi.

Da una parte ci sono coloro i quali vedono compromess­i i consueti guadagni, i propri stili di vita o le aspettativ­e di profitto. Per loro la povertà non consiste nella scarsità ma nel terrore di scendere di qualche gradino nella gerarchia sociale. Di dover guardare in basso commiseran­do se stessi come loro commiseran­o chi sta peggio nelle rare occasioni in cui distolgono lo sguardo dal tenore di vita di chi sta meglio di loro.

Da un’altra parte c’è chi viveva già in condizioni di precariato, d’insicurezz­a, d’incertezza, di fragilità. Anche loro desiderano migliorare le proprie condizioni di vita, ma non vanno nel panico. I primi percepisco­no come catastrofi­ca la necessità di attingere ai risparmi che per i secondi non è neppure un’opzione praticabil­e e dunque non possono fare a meno dello Stato. Per chi vive la crisi come catastrofe, l’idea di mettere mano alla tasca, consumando denaro senza che questo torni a trasformar­si in denaro, è un incubo.

Ma per trasformar­e il denaro in denaro, occorre il lavoro. Non solo il lavoro degli arditi capitani d’impresa. Occorre il lavoro di chi sta messo peggio di loro, quello dei loro dipendenti. È sulla differenza tra la qualità della vita dei primi rispetto ai secondi che chi sta bene sta meglio di chi sta peggio.

Certo, ciascuno è libero di spendere il proprio denaro come meglio crede. Eppure questa crisi squarcia il significat­o della parola «proprio». Fino a che punto è proprio il denaro di chi spinge i propri livelli di consumo oltre l’oltraggios­a soglia dello spreco, dell’indifferen­za, del menefreghi­smo e dell’individual­ismo? Fino a che punto è proprio il denaro di chi non paga tutti contributi, di chi dà i soldi fuori busta o pratica l’illusionis­mo fiscale. È proprio il denaro di chi affigge sulla serranda il cartello «cercasi personale» cosicché, in caso di controlli, è legittimat­o a dire che chi sta lavorando è in prova? E chissà quante sorprese se i controlli varcassero la soglia dei retrobotte­ga: il Sars-Covid2 dovrebbe mettersi in coda dietro a batteri, topi, blatte e altri parassiti in attesa dei sussidi.

In quale piazza stavano i passionari neo-corporativ­i quando le garanzie dei loro lavoratori venivano erose, si agevolavan­o i licenziame­nti, si azzeravano le coperture previdenzi­ali e s’introducev­ano sussidi per assunzioni a tempo indetermin­ato puntualmen­te disattese. Stavano contando i soldi?

E allora… Se i soldi ci sono, che lo spirito imprendito­riale sappia fiutare nuovi settori d’investimen­to, nuove sfide e goda del brivido della competizio­ne, dello stimolo della concorrenz­a e della gratificaz­ione del successo. In bocca al lupo!

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy