Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA CLASSE DIRIGENTE CHE NON C’È
Disperato bisogno di una classe dirigente. Indispensabile per il nostro futuro come il pane per chi sta patendo. Le due cose si tengono. Del pane non si può fare a meno soprattutto per la sofferenza ma anche per il pericolo di rivolte dagli esiti imprevedibili, ma quel pane ed anche il companatico saranno sempre incerti e a rischio se mancherà la classe dirigente. Anche perché lo spettacolo deprimente che la politica sta offrendo, e non c’è da meravigliarsene, è il risultato dell’assenza di un ceto, ripeto, dirigente che conti, che condizioni, che orienti, che ispiri e che assicuri l’attuazione dei programmi (quando ci sono). È, questo, il tema posto da Enzo d’Errico con riferimenti precisi alla realtà e alle potenzialità non astratte su cui far leva, e che ha messo questo giornale sulla lunghezza d’onda tra l’oggi e il domani, tra quello che siamo e quello che potremmo e dovremmo essere. Questa sua sana provocazione mi ha sollecitato a ripescare dalla memoria un’esperienza che oso ritenere istruttiva. A metà degli anni Ottanta, ancora fresca di modernità la ristrutturazione dell’Italsider costata 1.200 miliardi e mentre già si addensavano sui suoi fumi le nuvole nere della dismissione, fu organizzato un viaggio nell’Europa dell’acciaio per i giornalisti napoletani.
Fui tra quelli. Non c’era alcun scopo immediato, solo quello di farci capire che c’era un futuro per l’acciaio e che in Europa la sua produzione avveniva sotto cieli tersi come in una bella giornata di primavera. Vedemmo tanto, ma non sto qui a raccontarvelo, voglio solo ricordare tra le tante tappe (Marsiglia, Londra, Bruxelles, Lione, Brema, Amburgo) quella di Parigi.
Il nostro cicerone, Beppe Cavallaro, un uomo d’azienda che ho intravisto nelle pagine del libro di Ermanno
Rea, ci mostrava dal Beaubourg a Le Halles, queste ancora da completare, le meraviglie dell’architettura e soprattutto l’uso illimitato dell’acciaio che si impiegava per realizzarle. Ma è altro e non le quote, la crisi, l’invasione di Cina e India, il motivo di questo scritto.
Andammo in un immenso cantiere, in una delle «città nuove» della cintura di Parigi, Marne La Vallée. Ci arrivammo in metropolitana, che era stata realizzata prima di aprire il cantiere e i cui binari proseguivano verso la costruenda Disneyland.
Mettiamo da parte l’acciaio, quello che davvero mi colpì fu l’incontro, un vero e proprio approfondito momento di studio e conoscenza, nella sede dell’autorità governativa che presiedeva e dirigeva tutta la sterminata operazione, appena appena la costruzione di una nuova città. Pendevamo dalle sue labbra. Sprizzava, con naturalezza, competenza e sicurezza da tutti i pori.
Ci illustrava grafici, foto, tabelle, ci dettagliò gli impegni finanziari e scandì il cronoprogramma, che poteva suonare per noi come una barzelletta. Poi andammo a visitare tutto, peccato che non avemmo il tempo di spostarci anche al cantiere del nuovo parco dei divertimenti che voleva farci conoscere. E non ci meravigliammo quando, chiedendogli di lui, ci spiegò che aveva frequentato la scuola di alta formazione della burocrazia d’Oltralpe.
Per anni ho seguito da lontano quello che è avvenuto in quell’area e ho constatato che tutto quello che quel signore ci disse è stato realizzato, per merito suo e, ovviamente, dello Stato francese che ha garantito risorse e procedure.
Tornati a Napoli, rimasi di stucco quando sentii dibattere pubblicamente ai massimi livelli regionali della candidatura di Afragola a sede della Disneyland europea: da Parigi già ci si arrivava in metropolitana.
Ora non devo ricordare come sta Bagnoli, che è un po’ la rappresentazione di come vanno le cose qui, e per qui non intendo solo Napoli o la Campania o il Sud.
Abbiamo un grande problema che si riflette su tutti gli aspetti della società, l’assenza di una classe dirigente degna di questo nome. Perché, viceversa, questa potrebbe avere effetti positivi su tutto, anche sulla qualità della politica, come faceva un tempo la classe operaia che irrorava la società di moralità che è intrinseca in chi lavora per costruire e progredire.
Certo, servono sussidi, aiuti e provvidenze, ma soprattutto occorrono cultura, educazione, formazione, ricerca, innovazione, progettazioni e una grande capacità di fare e operare, di competenze, di energie fresche che rinnovino Napoli e il nostro Paese. Enzo d’Errico ha indicato cose concrete come la Scuola Superiore e altre realtà, e tutto il combinato disposto «eccellenze nascoste» comprese, per trasformare un’emergenza drammatica in un’irripetibile opportunità. Altro che liti stucchevoli e ammorbanti di polli nel pollaio!