Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Ladislao, il sovrano angioino ingiustamente dimenticato
La Storia è scritta dai vincitori e se tra i discendenti dei vincitori ci sono geni del calibro di Machiavelli e Guicciardini non c’è partita. Così nei libri di storia persistono solo tracce degli sconfitti, soprattutto se ingombranti, meglio mettere tra parentesi chi stava dalla parte del torto o semplicemente non fa quadrare il cerchio di una narrazione a senso unico. Delle loro gesta rimane una frase, un rigo appena. Nomina nuda tenemus.
Così è accaduto per sovrani che hanno avuto in pugno per decenni le sorti dell’Italia, così è accaduto in generale con gli Angioini, troppo forti all’epoca (con un regno sparpagliato dalla Provenza all’Ungheria) per essere apprezzati e non temuti e così è accaduto in particolare con Ladislao di Durazzo, il Magnanimo, il Guerriero, la cui memoria è stata confinata nella storia dell’arte grazie all’imponente mausoleo napoletano sopravvissuto ai secoli. Conosciamo invece i minuziosi dettagli di guerre e guerricciole tra le repubbliche, principati e ducati dell’Italia centro-settentrionale.
Questo grazie alla prevalenza del toscano, ma anche per l’accodamento della cultura successiva, soprattutto di quella idealista in buona parte meridionale, infatuata delle magnifiche sorti e progressive risorgimentali. Ciò che usciva dal seminato, dal tracciato di un’Unità nata secondo la visione ottocentesca, tutto quanto deviava, smentiva o anticipava andava ridimensionato, espunto o ignorato. E così pure l’imbattibile e giovane monarca che ben prima del Duca Valentino ebbe come motto «Aut Caesar aut nihil», ci andò per sotto.
Ladislao di Durazzo, l’imbattibile e spietato re guerriero della dinastia angioina, ha occupato il trono di Napoli nel primo quindicennio del
Quattrocento ed è sepolto a San Giovanni a Carbonara, in un mausoleo che tutti citano, ma in pochi vanno ad ammirare. Ladislao è stato un sovrano straordinario per i suoi tempi, ma è pressoché ignorato dalle storie ufficiali e dai manuali in uso nelle scuole. Contro un monarca che stava conquistando e unificando l’Italia partendo dal Sud, da Napoli, quattro secoli e mezzo prima dei Savoia, è stata messa in campo una sorta di damnatio memoriae. Ladislao meriterebbe, invece, un’analisi complessa da parte di storici titolati che ne riconoscessero i meriti e le debolezze, poiché la grande impresa fallì in un modo che più melodrammatico e pruriginoso non sarebbe stato possibile.
In quell’epoca, in quel tramonto del Medioevo, dell’Italia non esisteva che un’idea molto vaga e blanda. Quando Ladislao, scalata la penisola, saccheggiando per ben due volte Roma, sottomettendo papi e antipapi, attestandosi a Perugia (sua fedelissima vassalla), messo a punto un sofisticato piano di alleanze con i piccoli ducati, marchesati e robetta del Nord, stava per dare il colpo definitivo alla repubblica fiorentina (non ancora medicea), quando era all’apice del suo potere, fu improvvisamente avvelenato. In passato c’erano stati altri tentativi, ai quali era fortunosamente scampato. Allora si portava, era una sorta di elezioni anticipate. Le cronache raccontano che si sentì male mentre giaceva con una giovane donna perugina.
L’impetuoso re di Napoli era un amante insaziabile, come molti altri sovrani dell’epoca. Fatte le debite proporzioni, al confronto certi bunga bunga di recente memoria appaiono davvero come cene eleganti. Fu contagiato, riportano i pettegoli cronisti quattrocenteschi, da una «femmina prezzolata», escort e sicaria, figlia di un farmacista, che si cosparse le parti intime con un potente veleno. Secondo Montaigne, che gli dedica un capitoletto di suoi Saggi, l’intossicazione letale avvenne tramite un fazzoletto usato per detergere. Ladislao fu trasportato a Napoli, ancora vivo e in preda ad atroci dolori. Morì nella sua città, accudito dalla sorella, la fatua e inesperta seconda Giovanna che gli successe e che lo fece seppellire di notte, alla luce di poche fiaccole, nella chiesa durazzesca che allora era fuori delle mura cittadine.
La vita e la morte di Ladislao farebbero la gioia e il successo
erano quelle ottocentesche, ma solo imprese di conquista dinastica. Nel tardo Medioevo contavano le dinastie e non i popoli. E sono state proprio le dinastie (e le loro motivazioni dinastiche) a unire, quattro secoli prima dell’Italia, la Spagna, la Francia e l’Inghilterra. La Storia non si fa con i se, però va detto che quasi tutta l’interpretazione, la narrazione e la retorica di secoli centrali per la vita di questo Paese, sono state toscano-centriche. I fiorentini erano mercanti e banchieri, gente dalla mente sottile e dal calcolo rapido. Con Ladislao fecero il peggiore dei doppi giochi. Lo aiutarono finché era debole, finsero di sostenerlo quando sembrava il vincitore unico, lo avvelenarono quando si sentirono minacciati. E Ladislao perse tutto per la sua insaziabile sessualità. Era il suo tallone d’Achille. Gli storici dell’epoca, e per imitazione quelli a seguire, non si limitarono a farlo uscire clamorosamente di scena. Ladislao doveva scomparire dalla memoria. Era solo un re puttaniere, un giovane avventuriero e tutto il resto. Eppure era stato un raffinato diplomatico (ben consigliato): sconfitto il rivale
Fu il guerriero della dinastia angioina, è sepolto nella Chiesa di San Giovanni a Carbonara
Perseguì a suo modo, per l’epoca, un ideale unitario Le sue però non furono guerre di popolo