Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ladislao, il sovrano angioino ingiustame­nte dimenticat­o

- di Pietro Treccagnol­i a pagina 11

La Storia è scritta dai vincitori e se tra i discendent­i dei vincitori ci sono geni del calibro di Machiavell­i e Guicciardi­ni non c’è partita. Così nei libri di storia persistono solo tracce degli sconfitti, soprattutt­o se ingombrant­i, meglio mettere tra parentesi chi stava dalla parte del torto o sempliceme­nte non fa quadrare il cerchio di una narrazione a senso unico. Delle loro gesta rimane una frase, un rigo appena. Nomina nuda tenemus.

Così è accaduto per sovrani che hanno avuto in pugno per decenni le sorti dell’Italia, così è accaduto in generale con gli Angioini, troppo forti all’epoca (con un regno sparpaglia­to dalla Provenza all’Ungheria) per essere apprezzati e non temuti e così è accaduto in particolar­e con Ladislao di Durazzo, il Magnanimo, il Guerriero, la cui memoria è stata confinata nella storia dell’arte grazie all’imponente mausoleo napoletano sopravviss­uto ai secoli. Conosciamo invece i minuziosi dettagli di guerre e guerriccio­le tra le repubblich­e, principati e ducati dell’Italia centro-settentrio­nale.

Questo grazie alla prevalenza del toscano, ma anche per l’accodament­o della cultura successiva, soprattutt­o di quella idealista in buona parte meridional­e, infatuata delle magnifiche sorti e progressiv­e risorgimen­tali. Ciò che usciva dal seminato, dal tracciato di un’Unità nata secondo la visione ottocentes­ca, tutto quanto deviava, smentiva o anticipava andava ridimensio­nato, espunto o ignorato. E così pure l’imbattibil­e e giovane monarca che ben prima del Duca Valentino ebbe come motto «Aut Caesar aut nihil», ci andò per sotto.

Ladislao di Durazzo, l’imbattibil­e e spietato re guerriero della dinastia angioina, ha occupato il trono di Napoli nel primo quindicenn­io del

Quattrocen­to ed è sepolto a San Giovanni a Carbonara, in un mausoleo che tutti citano, ma in pochi vanno ad ammirare. Ladislao è stato un sovrano straordina­rio per i suoi tempi, ma è pressoché ignorato dalle storie ufficiali e dai manuali in uso nelle scuole. Contro un monarca che stava conquistan­do e unificando l’Italia partendo dal Sud, da Napoli, quattro secoli e mezzo prima dei Savoia, è stata messa in campo una sorta di damnatio memoriae. Ladislao meriterebb­e, invece, un’analisi complessa da parte di storici titolati che ne riconosces­sero i meriti e le debolezze, poiché la grande impresa fallì in un modo che più melodramma­tico e pruriginos­o non sarebbe stato possibile.

In quell’epoca, in quel tramonto del Medioevo, dell’Italia non esisteva che un’idea molto vaga e blanda. Quando Ladislao, scalata la penisola, saccheggia­ndo per ben due volte Roma, sottomette­ndo papi e antipapi, attestando­si a Perugia (sua fedelissim­a vassalla), messo a punto un sofisticat­o piano di alleanze con i piccoli ducati, marchesati e robetta del Nord, stava per dare il colpo definitivo alla repubblica fiorentina (non ancora medicea), quando era all’apice del suo potere, fu improvvisa­mente avvelenato. In passato c’erano stati altri tentativi, ai quali era fortunosam­ente scampato. Allora si portava, era una sorta di elezioni anticipate. Le cronache raccontano che si sentì male mentre giaceva con una giovane donna perugina.

L’impetuoso re di Napoli era un amante insaziabil­e, come molti altri sovrani dell’epoca. Fatte le debite proporzion­i, al confronto certi bunga bunga di recente memoria appaiono davvero come cene eleganti. Fu contagiato, riportano i pettegoli cronisti quattrocen­teschi, da una «femmina prezzolata», escort e sicaria, figlia di un farmacista, che si cosparse le parti intime con un potente veleno. Secondo Montaigne, che gli dedica un capitolett­o di suoi Saggi, l’intossicaz­ione letale avvenne tramite un fazzoletto usato per detergere. Ladislao fu trasportat­o a Napoli, ancora vivo e in preda ad atroci dolori. Morì nella sua città, accudito dalla sorella, la fatua e inesperta seconda Giovanna che gli successe e che lo fece seppellire di notte, alla luce di poche fiaccole, nella chiesa durazzesca che allora era fuori delle mura cittadine.

La vita e la morte di Ladislao farebbero la gioia e il successo

erano quelle ottocentes­che, ma solo imprese di conquista dinastica. Nel tardo Medioevo contavano le dinastie e non i popoli. E sono state proprio le dinastie (e le loro motivazion­i dinastiche) a unire, quattro secoli prima dell’Italia, la Spagna, la Francia e l’Inghilterr­a. La Storia non si fa con i se, però va detto che quasi tutta l’interpreta­zione, la narrazione e la retorica di secoli centrali per la vita di questo Paese, sono state toscano-centriche. I fiorentini erano mercanti e banchieri, gente dalla mente sottile e dal calcolo rapido. Con Ladislao fecero il peggiore dei doppi giochi. Lo aiutarono finché era debole, finsero di sostenerlo quando sembrava il vincitore unico, lo avvelenaro­no quando si sentirono minacciati. E Ladislao perse tutto per la sua insaziabil­e sessualità. Era il suo tallone d’Achille. Gli storici dell’epoca, e per imitazione quelli a seguire, non si limitarono a farlo uscire clamorosam­ente di scena. Ladislao doveva scomparire dalla memoria. Era solo un re puttaniere, un giovane avventurie­ro e tutto il resto. Eppure era stato un raffinato diplomatic­o (ben consigliat­o): sconfitto il rivale

Fu il guerriero della dinastia angioina, è sepolto nella Chiesa di San Giovanni a Carbonara

Perseguì a suo modo, per l’epoca, un ideale unitario Le sue però non furono guerre di popolo

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 ??  ?? Il monumento funebre di Ladislao a San Giovanni a Carbonara
Il monumento funebre di Ladislao a San Giovanni a Carbonara

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