Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La scienza e la pandemia
Gli ultimi decenni hanno visto una marea montante di sfiducia nella scienza e negli esperti con ondate di rancore verso la comunità scientifica.
Paradossalmente proprio mentre essa cercava l’obiettività ed abbandonava l’autorevolezza del singolo, insomma mentre diventava più umile. La pandemia da Covid19 è quindi sembrata ai più una rivincita del pensiero esperto: dopo decenni di relativismo e controinformazione da mercato, di competenti da baraccone ecco che quando si ha paura occorre tornar da loro, gli esperti. Lo afferma anche Angelo Panebianco che recentemente, dalle colonne del Corriere della Sera, ha descritto le due opposte sponde dell’italico sentire verso la scienza. Da un lato, sostituta del divino, essa è considerata onnipotente e se vi è defaillance vi è certo colpa umana; opposta visione è quella da post-verità, concezione in cui il parere di un esperto vale quello di un cantante perché la verità è irraggiungibile ed allora uno vale uno. Panebianco sembra credere in una probabile stabile vittoria della scienza invincibile.
Ma è così? Durerà questo ritorno agli esperti? Ecco che si vedono già segni di antiche e nuove diffidenze: se la tecnica è invincibile perché allora tanta sciagura, perché la catastrofe? Si comincia a chiedere che qualcuno paghi. In netto rinforzo, poi, il fronte dell’anti-scienza: visto che la verità non c’è o ce la nascondono proliferano le teorie in cui il governo è contro la terapia col plasma, il Covid era solo una forte influenza stagionale, il virus è prodotto dall’uomo, è fuggito dai laboratori e via con le congiure di sempre. Le trombe del complottismo suonano violente, risonanti con quelle che squillano oltreoceano.
Se è così facile al pensiero complottista far breccia è perché in Italia vi è analfabetismo scientifico e si ignora il significato profondo del fare scienza, che non è solo corretta previsione o elaborazione tecnica ma molto di più, è il tentativo terribile e meraviglioso di costruire una conoscenza del mondo. Un tentativo pieno di umiltà e di incertezza, perché chi si occupa di scienza sa che essa non è altro che l’insieme di quelle nostre teorie che ad oggi risultano altamente resistenti alla critica e che ci appaiono avvicinarsi alla verità; nella consapevolezza che nuove evidenze potrebbero cambiare il paradigma. La scienza è dunque sempre perfettibile ma il permanere del dubbio, il sapere che c’è altro da scoprire, non toglie validità a quanto sappiamo: questo dovrebbe capire chi segnala solo le contraddizioni e la discordia dei pareri. Non vi è purtroppo alcuna terapia per i gruppi di persone con valori settari e convinzioni insensibili anche di fronte all’evidenza: esse ritengono ogni critica inserita in un complotto globale, sono ancora una minoranza ma aumentano. Ma occorre far qualcosa contro questa deriva scettica pericolosa e fanatica. Occorre innanzitutto nelle scuole fornire strumenti concettuali che aiutino a comprendere cosa è veramente scienza ed i fondamenti del suo metodo, come orientarsi nella conflittuale letteratura ma soprattutto come esercitare il senso critico. E questo è forse ancor più vero e giusto per noi meridionali, figli di Bernardino Telesio e Giordano Bruno che per primi cominciarono a scardinare il pensiero tolemaico e ad aprire, attraverso un germinale empirismo, la strada alla rivoluzione scientifica del ‘600.
Non molti anni fa Franco Cassano, nel Pensiero meridiano, immaginava un Sud non solo rappresentato dagli altri e somma di patologie sociali ma possessore di una identità forte e mediterranea, capace di azione ed apertura. E se azione deve essere allora che sia proprio il Sud apripista in questa battaglia civile contro le tenebre del pensiero, il Sud che questa battaglia l’ha nel sangue perché il pensiero occidentale è nato sulle sue coste assolate.