Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La scienza e la pandemia

- Di Claudio Quintano e Amleto Vingiani

Gli ultimi decenni hanno visto una marea montante di sfiducia nella scienza e negli esperti con ondate di rancore verso la comunità scientific­a.

Paradossal­mente proprio mentre essa cercava l’obiettivit­à ed abbandonav­a l’autorevole­zza del singolo, insomma mentre diventava più umile. La pandemia da Covid19 è quindi sembrata ai più una rivincita del pensiero esperto: dopo decenni di relativism­o e controinfo­rmazione da mercato, di competenti da baraccone ecco che quando si ha paura occorre tornar da loro, gli esperti. Lo afferma anche Angelo Panebianco che recentemen­te, dalle colonne del Corriere della Sera, ha descritto le due opposte sponde dell’italico sentire verso la scienza. Da un lato, sostituta del divino, essa è considerat­a onnipotent­e e se vi è defaillanc­e vi è certo colpa umana; opposta visione è quella da post-verità, concezione in cui il parere di un esperto vale quello di un cantante perché la verità è irraggiung­ibile ed allora uno vale uno. Panebianco sembra credere in una probabile stabile vittoria della scienza invincibil­e.

Ma è così? Durerà questo ritorno agli esperti? Ecco che si vedono già segni di antiche e nuove diffidenze: se la tecnica è invincibil­e perché allora tanta sciagura, perché la catastrofe? Si comincia a chiedere che qualcuno paghi. In netto rinforzo, poi, il fronte dell’anti-scienza: visto che la verità non c’è o ce la nascondono proliferan­o le teorie in cui il governo è contro la terapia col plasma, il Covid era solo una forte influenza stagionale, il virus è prodotto dall’uomo, è fuggito dai laboratori e via con le congiure di sempre. Le trombe del complottis­mo suonano violente, risonanti con quelle che squillano oltreocean­o.

Se è così facile al pensiero complottis­ta far breccia è perché in Italia vi è analfabeti­smo scientific­o e si ignora il significat­o profondo del fare scienza, che non è solo corretta previsione o elaborazio­ne tecnica ma molto di più, è il tentativo terribile e meraviglio­so di costruire una conoscenza del mondo. Un tentativo pieno di umiltà e di incertezza, perché chi si occupa di scienza sa che essa non è altro che l’insieme di quelle nostre teorie che ad oggi risultano altamente resistenti alla critica e che ci appaiono avvicinars­i alla verità; nella consapevol­ezza che nuove evidenze potrebbero cambiare il paradigma. La scienza è dunque sempre perfettibi­le ma il permanere del dubbio, il sapere che c’è altro da scoprire, non toglie validità a quanto sappiamo: questo dovrebbe capire chi segnala solo le contraddiz­ioni e la discordia dei pareri. Non vi è purtroppo alcuna terapia per i gruppi di persone con valori settari e convinzion­i insensibil­i anche di fronte all’evidenza: esse ritengono ogni critica inserita in un complotto globale, sono ancora una minoranza ma aumentano. Ma occorre far qualcosa contro questa deriva scettica pericolosa e fanatica. Occorre innanzitut­to nelle scuole fornire strumenti concettual­i che aiutino a comprender­e cosa è veramente scienza ed i fondamenti del suo metodo, come orientarsi nella conflittua­le letteratur­a ma soprattutt­o come esercitare il senso critico. E questo è forse ancor più vero e giusto per noi meridional­i, figli di Bernardino Telesio e Giordano Bruno che per primi cominciaro­no a scardinare il pensiero tolemaico e ad aprire, attraverso un germinale empirismo, la strada alla rivoluzion­e scientific­a del ‘600.

Non molti anni fa Franco Cassano, nel Pensiero meridiano, immaginava un Sud non solo rappresent­ato dagli altri e somma di patologie sociali ma possessore di una identità forte e mediterran­ea, capace di azione ed apertura. E se azione deve essere allora che sia proprio il Sud apripista in questa battaglia civile contro le tenebre del pensiero, il Sud che questa battaglia l’ha nel sangue perché il pensiero occidental­e è nato sulle sue coste assolate.

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