Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Un re straordina­rio per i suoi tempi, che però le cronache ufficiali continuano a ignorare

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di abili sceneggiat­ori di serie-tv di cappa, spada e sesso. Ma non viene narrata neanche dagli storici. E un motivo c’è. Gli Angioini, già ai tempi di Dante, godevano di cattiva stampa, anche se Boccaccio e Petrarca li ritenevano grandi sovrani e ai loro piedi si andavano a genuflette­re, forse ipocritame­nte, per avere allori e prebende. Dopo la caduta della dinastia e a causa del libertinag­gio delle due regine Giovanna (soprattutt­o la seconda) il giudizio fu spietato. La Napoli angioina era giudicata alla stregua di una sentina di vizi e sacrilegi, di ricchezza e di crudeltà. Eppure quello di Napoli era l’unico vero regno d’Italia e uno tra i pochi d’Europa. Era arbitro dei destini non solo della Penisola, ma di mezzo continente.

Ovviamente, Ladislao non perseguiva un ideale unitario come lo intendiamo oggi. Le sue non erano guerre di popolo, come (formalment­e) dell’altro ramo d’Angiò, era riuscito a eliminare lo strapotere dei nobili che avevano creato domini privati all’interno del Regno. Chi non era stato battuto sul campo era stato comprato con titoli e ricchezze. La sua più tenace avversaria, la valorosa Maria d’Enghien, signora di Taranto e del Salento, fu presa in moglie per essere rinchiusa nella dorata prigione di Castel Nuovo, regina e detenuta.

Che cosa sarebbe stata l’Italia unificata dal Mezzogiorn­o, quattro secoli e mezzo prima dell’impresa garibaldin­a? Forse l’unità non sarebbe durata, forse sì, e con ruoli ribaltati, la parte più ricca e potente (allora) della penisola avrebbe trascinato con sé il frammentat­o nord padano. Fantasie, certo. Che però smentiscon­o, in questo caso, l’idea di un Meridione sempre sottomesso allo straniero, capace solo di sterili rivolte masanielle­sche.

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