Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Dalla Vecchia e il mare Una leggenda nata a Marechiaro «I miei primi 90 anni»
«Quante feste per un signore novantenne al quale è giusto riconoscere solo il merito di aver tenuto fuori dell’uscio di casa il signor Aloisio Alzhaimer che premeva per entrare».
Per festeggiare i novanta anni di Pippo Dalla Vecchia, un napoletano d’altri tempi, abbiamo scelto di adeguarci alla sua filosofia di vita che concede molto al lavoro ma non rinuncia alla fantasia creativa e a un pizzico di ironia che lo ha aiutato a vincere tutte le competizioni. Tranne due, la mancata elezione a presidente nazionale della vela, che gli è stata scippata, e la selezione per l’Olimpiade napoletana del 1960. «La maglia azzurra l’avrei meritata, ma mi sono rifatto con le due Olimpiadi di mio figlio Aurelio e con i miei titoli».
Cominciamo dal nome. È il primo sussulto di fantasia: gli sarebbe piaciuto essere chiamato Stranillo «come tutti i ragazzi della mia età nati come me a Marechiaro». Attaccamento profondo alle radici, quindi, che esplode nella novella scritta a quattro mani con Rafele ‘e Giacquetta, un pescatore che realizzò il sogno di una vita grama catturando, dopo averla “stracquata” tra lo scoglione e il mare aperto, una ombrina di cinque chili, o giù di lì, promessa come merce di scambio per ottenere da un amico ricco e influente, che moriva dalla voglia di esibire agli amici il prestigioso esemplare, l’assunzione di suo figlio Ciruzzo.
L’«Ombrina di Marechiaro» per le edizioni di Grimaldi&C è, comunque, un libricino rivelatore della vena letteraria di Pippo che poi si espresse in mille modi con editoriali pungenti scritti per la rivista “Sport Vela” e per i giornali napoletani. Immaginiamo che il lettore pensi, come termine di paragone a Dudù La Capria — grande amico di Pippo al pari di Lucio Dalla che per 17 anni gli ha regalato un concerto nel salone del Savoia (Lucio non prendeva cachet, naturalmente, i soci, però, pagavano e con l’incasso si raddrizzavano le finanze del club) — ma non è così: Pippo possiede l’istinto del narratore ma non costruisce le storie, le scrive di getto. Una ventina
di anni fa per la festa di Santa Barbara (4 dicembre) invitò tutti i canottieri che avevano vogato per il Savoia. Arrivarono da ogni luogo, qualcuno perfino da oltre Oceano. Qualcuno, geloso delle prerogative professionali e di censo dei soci, arricciò il naso ma Pippo-Stranillo tuonò: «O cacciate me o fate festa brindando anche con i cozzicari». Vinse lui, i soci sapevano che trattava allo stesso modo i reali di Spagna e i cozzicari.
Poteva permetterselo: aveva accettato di fare il presidente con il Circolo in macerie e lo aveva portato nella top trenta dei club europei. Grazie a geniale colpi di marketing che passavano anche dalla cucina per una mozzarella aversana straordinaria e una genovese che lo stesso Pippo preparava sorvegliando che il sugo “pippiasse” a dovere. «Se mi guardo alle spalle, riconosce, la prima cosa che mi viene da dire è che sono pazzo. Pensa che il giorno seguente all’insediamento volevano pignorare gli ultimi mobili del Circolo perché non era stata pagata la liquidazione di due dipendenti, 85 ad uno e altrettanti all’altro. Non persi la calma, però, e convinsi gli ufficiali giudiziari a tornare dopo dieci giorni perché avrei risolto la grana. E così fu, ottenni di pagare il debito in comode rate».
Ecco, ora è più facile mettere in luce i meriti di questo dirigente al quale i Circoli nautici, il canottaggio e la vela devono tutto o quasi. Con la sua ostinazione illuminata e scegliendo i giusti compagni di viaggio ha trasformato Napoli e il suo golfo nella scala della vela contribuendo a organizzare una Olimpiade (1960) ricordata come la più riuscita di tutti i tempi e migliaia di eventi di livello mondiale.«Perdonate l’immodestia, ma quando saremo usciti di scena Carlo Rolandi ed io la vela sarà azzerata».
Canottiere e velista, vicepresidente dell’Italia, presidente del Savoia per ventidue anni (un record), stella d’oro del Coni al merito sportivo e perfino motonauta: «Non mi andava a genio che Ninni Lauro e Mariano Pacifico vincessero tutto e allora decisi di costruirmi un piccolo motoscafo che battezzai “El carioca”. Il motore me lo regalò la marchesa Comola che aveva avuto un incidente a mare e con quella barca messa su alla buona mandai sconfitti i grandi che guidavano bolidi costosissimi. Il mio motto, d’altronde è stato questo: anche una barca sgangherata può trasformarsi in una corazzata». Un grande personaggio, insomma, che ha giocato con la vita prendendola sempre sul serio. E ha chiesto alla moglie Grazia e ai figli Aurelio, Marco e Emanuele di assicurarsi che sulla sua tomba ci siano queste parole: «Qui giace Giuseppe Dalla Vecchia, gommista in Napoli». La mattonella l’ha ordinata lui. Lunga vita al gommista, a Pippo e a Stranillo.