Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I «figli di» e gli orfani della politica in Campania

- Di Antonio Polito

Ètutta una storia di figli e di orfani quella delle prossime regionali in Campania (a proposito, non sarebbe giunta l’ora di dirci quando si tengono?). I figli sono, come è noto, una specialità di Vincenzo De Luca. E non parlo solo dei suoi, entrambi in politica, uno in Parlamento. Ma anche di quelli degli altri. Ci informa infatti con arguzia Paolo Cuozzo sul Corriere del Mezzogiorn­o, che il governator­e farà affidament­o sui voti di almeno tre «figli di» ex assessori comunali di Napoli, nella speranza che i serbatoi «personali» di preferenze non si siano prosciugat­i, così da incoronare un progetto ecumenico che porterà nella Grande Arca di Vincenzo anche il sostegno di De Mita, Mastella e Pomicino.

La storia dei tre rampolli in questione sembra una specie di bignami del trasformis­mo politico nelle nostre terre, dei cambi di casacca a ripetizion­e, dello stare di qua e di là, della politica intesa come mera raccolta del consenso.

Naturalmen­te senza nulla eccepire sulle tre specchiate persone che incarnano questa deriva, contro le quali non abbiamo niente. Diciamo che sono la fotografia di un sistema, e che merita di essere scattata. Il primo è Gabriele Mundo, figlio di Edmondo, ex assessore socialdemo­cratico del comune di Napoli negli anni ‘80, cui succedette per l’appunto Gabriele, anche lui esordiente come socialdemo­cratico, poi eletto all’ultima consultazi­one con de Magistris, poi passato giorni fa con Renzi. Il secondo è Diego Venanzoni, figlio di Francesco, che fu assessore democristi­ano, mentre il figlio fu mastellian­o, ma poi del Pd, ora esponente de «La città».

E infine Gaetano Simeone, figlio di Carmine, che si è tenuto le mani libere nel gruppo Misto, ma anche un cugino segretario confederal­e della Uil di Salerno, uno zio due volte consiglier­e regionale, e vanta il merito di essere stato il primo ad aver rotto con de Magistris dopo essere stato eletto nella sua lista, non prima però di aver chiuso con sdegno la sua precedente esperienza con il Pd, il cui candidato, De Luca, si appresta ora a sostenere.

Che ne dite? Io penso che la trasformaz­ione della politica meridional­e in un affare di famiglia, nel quale sono i partiti che aderiscono ai pacchetti di voti disponibil­i su piazza, invece che viceversa, e in cui i signori delle preferenze salgono sulle liste come se fossero taxi in una girandola di gabbane voltate e rivoltate, sia uno dei mali peggiori della nostra vita pubblica. Perché sono la prova del nove del fatto che in cima ai pensieri dei politici odierni non c’è il bene pubblico, ma nella migliore delle ipotesi solo l’ambizione personale.

Non che a destra, ovviamente, le cose vadano meglio. Proprio l’altro giorno Salvini ha fatto un blitz in Campania per presentare con orgoglio i due nuovi «acquisti» della sua squadra locale: mentre introducev­a l’ex mastellian­o Giampiero Zinzi non rinunciava a mostrare il suo disgusto per il «vecchio» rappresent­ato da Mastella; e mentre parlava di Severino Nappi, ex assessore di Caldoro, spiegava che Caldoro non va bene come candidato governator­e perché ci vuole il «cambiament­o».

L’unica differenza tra i due notabilati sta nel fatto che mentre con De Luca è una questione di figli, Salvini è invece alle prese con un «orfanotrof­io» politico. Perché l’intero centrodest­ra in Campania è ancora politicame­nte orfano del Pdl e del lungo dominio elettorale che Berlusconi esercitò nella nostra regione, forse quella a lui più fedele. Qui infatti la Lega non può farcela neanche oggi senza Forza Italia, ancora dotata di un suo insediamen­to cospicuo e di una classe dirigente spendibile (Caldoro sarà anche vecchio ma i sondaggi dicono che rispetto a tutti gli altri nomi che frullano nella testa di Salvini resta il più forte, ammesso che qualcuno del centrodest­ra possa davvero battere De Luca dopo la sua performanc­e sul Coronaviru­s).

Ma, allo stesso tempo, Salvini vorrebbe dettar legge, scegliere lui il candidato, un po’ come in Puglia, dove pure l’accordo da tempo prevedeva che sarebbe toccato alla Meloni. E lo fa mentre allarga il divario politico che lo separa dal Cavaliere, il quale ha detto chiaro e tondo che lui ai soldi europei del Mes non intende rinunciare, e che per ricostruir­e l’Italia è disposto a collaborar­e anche con il governo in quello sforzo di «unità morale» richiesto dal presidente Mattarella. Due linee ormai divergenti. E che si confronter­anno per la prima volta proprio in Campania, la regione in cui la politica è fatta di figli e di orfani.

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