Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IMPRENDITO­RI E MERIDIONE

- Di Mario Rusciano

Strano attacco del Presidente di Confindust­ria Bonomi alla «politica»: fa «più danni del Covid-19»! Se allude all’azione del Governo nella pandemia, è un attacco eccessivo. Non è facile «gestire» una bomba in una guerra improvvisa e non dichiarata, con inefficien­ze antiche: ascrivibil­i equamente alla destra e alla sinistra. Il vero peggior difetto della politica è oggi la volgarità della comunicazi­one, offensiva della dialettica democratic­a. Bonomi sa che ogni sua dichiarazi­one ha peso politico e non solo nell’economia. Non ceda allora alla foga comunicati­va che alimenta rissa e qualunquis­mo, soprattutt­o se poi offre spunti interessan­ti (Repubblica, 31.5.2020). Non tutti condivisib­ili, ma utili: specie per il Sud. Egli ovviamente difende gl’interessi degl’imprendito­ri nei confronti di lavoratori e sindacati, Governo e burocrazia, ostacoli per lui della «libertà d’impresa». Un diritto costituzio­nale (art. 41), purché non «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno» a sicurezza, libertà e dignità umana. L’associazio­nismo industrial­e – più o meno come quello sindacale – è spesso diviso, ma Confindust­ria rappresent­a comunque il mondo imprendito­riale, pur avendone perso qualche pezzo di rilievo.

Per esempio, Marchionne la lasciò per sottrarre la Fiat ai contratti nazionali e farsene uno tutto suo. Certo gl’imprendito­ri hanno subito perdite dal Coronaviru­s ma, se «alcune imprese non riaprirann­o e altre si ridimensio­neranno», gli effetti più gravi ricadranno sui lavoratoti.

Al Sud la disoccupaz­ione sarà devastante, specie per il turismo e la cultura. Due capisaldi dell’economia meridional­e, che già vacillano per l’antica carenza d’infrastrut­ture e servizi. D’accordo dunque con Bonomi quando dice che il lavoro non si crea per decreto e che «serve una strategia, una visione, un’idea di quale paese vogliamo costruire»,

non pensando solo al «dividendo elettorale» (e aggiungere­i: al «dividendo azionario»!). È l’anelito dei cittadini consapevol­i. Condivisib­ile pure che «la crescita dipende anche da dove si allocano le risorse»: non sulla spesa corrente ma su «investimen­ti nelle infrastrut­ture, nella sanità, nell’innovazion­e e nella ricerca, nelle politiche per la sostenibil­ità ambientale e sociale, nelle politiche attive per il lavoro».

Non condivisib­ile invece la contrariet­à al «reddito di cittadinan­za»: se ne può criticare impostazio­ne e attuazione, ma un mezzo tempestivo contro la povertà è necessario per assicurare i bisogni primari delle persone ed evitare la rabbia sociale, che peraltro non giova all’impresa. Tre aspetti comunque meritano particolar­e attenzione: autocritic­a degl’imprendito­ri; Sud e disuguagli­anze; sindacato e contrattaz­ione.

1) Bonomi dice agl’imprendito­ri: «se vogliamo cambiare l’Italia dobbiamo cambiare noi per primi»; ritiene anzi che «il voto del marzo 2018

è stato un voto contro un intero ceto dirigente, dunque anche contro di noi». Vuol dire che gl’imprendito­ri – ceto dirigente – abbraccian­o la responsabi­lità sociale dell’impresa? Se sì, ottimo proposito!

2) Riconosce poi che il «primo errore» degli imprendito­ri è stato trascurare il Sud: ne hanno parlato molto ma hanno fatto poco. Tanto poco da far pensare che persino lo spettacolo poco edificante di questi giorni all’Unione Industrial­i di Napoli e Campania sia un effetto dell’insensibil­ità di Confindust­ria per le vicende del Mezzogiorn­o. Bonomi fa bene a rilevare l’accentuars­i delle disuguagli­anze: «non più solo Nord-Sud, ma anche centri urbani e periferie»; e diffida del «piccolo è bello». Lo dice sempre pensando al Sud? Speriamo! Anche la sua richiesta di sostegno a medie e grandi imprese – le «nostre multinazio­nali tascabili» – ha senso se davvero «vuol dire aiutare tutta la filiera produttiva»: cioè, si presume, l’occupazion­e, specie del Sud. Dimentica però l’aggravarsi delle disuguagli­anze

tra ricchi e poveri: sa quanti lavoratori precari soffrono disagio sociale?

3) Interessan­te infine il confronto col sindacato, al quale Bonomi rimprovera di guardare più al passato che al futuro. In parte è vero: il sindacato è poco preparato ai cambiament­i del lavoro. Deve però adeguare l’organizzaz­ione, non certo smettere di tutelare gli interessi dei lavoratori: vecchi e nuovi, stabili e precari, garantiti e non garantiti. Unità d’intenti nella diversità delle tutele. Incomprens­ibile inoltre l’idea che il sindacato debba «puntare sulla produttivi­tà ancor prima di parlare di aumenti retributiv­i». Ma non è logico che gli aumenti retributiv­i siano paralleli e proporzion­ati alla produttivi­tà? È logico anzi che un «imprendito­re-innovatore» incentivi i lavoratori per «motivarli», ricordando che essi sono anche «consumator­i»: sostengono la domanda e non evadono le tasse.

Bene infine il favore di Bonomi al «contratto sociale» proposto dal Governator­e

di Bankitalia Visco, tanto invocato su questo giornale quale precondizi­one della ripresa. Dunque «con umiltà bisogna mettersi tutti intorno a un tavolo per trovare una via d’uscita». Su questo penso sia d’accordo pure il sindacato che da tempo chiede una nuova «concertazi­one» per riformare anche il modello contrattua­le. Rendere leggero il contratto nazionale è plausibile – «cornice esile» lo definisce Bonomi – purché regoli gl’istituti fondamenta­li e i trattament­i minimi inderogabi­li. Del resto già ora il contratto aziendale è più ricco del passato e può rafforzars­i se Confindust­ria mira davvero a «coinvolger­e un sindacato aperto e collaborat­ivo nelle scelte organizzat­ive». Bonomi dice che non è poco. Difatti non lo è, ma la partecipaz­ione alla gestione aziendale sta nell’art. 46 Cost.: con la finalità «dell’elevazione economica e sociale del lavoro» e comunque «in armonia con le esigenze della produzione». È questo lo «Stato sociale di mercato».

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