Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«I guardiani» del dialetto C’è de Giovanni
Il consiglio regionale della Campania ha nominato il Comitato scientifico per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio linguistico napoletano. I membri sono Maurizio de Giovanni, gli accademici della Crusca Nicola De Blasi e Rita Librandi e i linguisti Armando De Rosa, Francesco Montuori, Umberto Franzese e Carolina Stromboli. Pronto un caso per loro: nel centro storico è spuntata «A fnstell e San Gregorio Armeno». Come è scritto.
Errori
Il primo caso di cui potranno occuparsi è la comparsa della «fnstell e San Gregorio»
Il napoletano ha ora i suoi «guardiani». Proprio come in un titolo di Maurizio de Giovanni che infatti è tra loro. Il consiglio regionale della Campania, infatti, ha nominato il Comitato scientifico per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio linguistico napoletano su designazione della Conferenza dei rettori delle università italiane. Con lo scrittore ci sono gli accademici della Crusca Nicola De Blasi e Rita Librandi e i linguisti Armando De Rosa, Francesco Montuori, Umberto Franzese e Carolina Stromboli. Presto l’insediamento e la presentazione dei lavori.
Ed ecco bello e pronto per loro un caso che viene proprio da quel reticolo di strade in cui il napoletano risuona da più tempo: i decumani. All’inizio del cardo, oggi via San Gregorio Armeno, è spuntata una post-icona fondativa di tanto immaginario partenopeo: una piccola finestra tutta bianca con portavasi e fiori fucsia. La scritta a mo’ di didascalia ci informa che siamo di fronte a un calco simbolico: «A fnstell e San Gregorio Armeno». Visto l’immenso indotto in termini di sfruttamento commerciale dell’immagine di quella di Marechiaro perché non duplicarla in versione «continentale» con vista sui pastori? (la finestra sovrasta la targa dedicata a Roberto Bracco ed è affiancata da un condizionatore, sic!).
E veniamo al napoletano. Dal punto di vista linguistico appare subito urticante la grafia che si limita a una trascrizione della fonetica dialettale con effetti a-vocalici propri di sms o whatsapp. «È un bell’esempio di grafia spontanea» commenta la linguista federiciana Patricia Bianchi. Mentre Nunzio Ruggiero, italianista dell’ateneo Suor Orsola Benincasa, evidenzia un sincretismo culturale di non poco momento: «I fiori sono esposti in una grande fioriera Ikea, provenienza che rende il corto circuito ancora più forte. E, per ironia, verrebbe da dire che la scritta senza vocali ricorda i nomi degli oggetti Ikea a conferma di un’ipotetica incidenza dello svedese nel napoletano contemporaneo. Scherzi a parte quella della cacografia è una questione che risale al 1879: bisognerebbe fare dei corsi per i giovani (e non solo ndr) che sempre più vogliono scriverlo ma non sanno farlo». Non si può non ricordare a questo proposito un testo di cui abbiamo dato conto di recente firmato dagli stessi Di Blasi e Montuori, La lingua gentile, che è anche un manuale di corretta grafia.
Ritornando alla fenestella di Marechiaro che dovrebbe essere «l’originale», scopriamo grazie a Emma Giammattei che non lo è affatto. Nel suo indispensabile Il romanzo di Napoli (Guida), a proposito del «paesaggio di invenzione» racconta di quando Salvatore Di Giacomo «sul Corriere di Napoli ricostruisce la genesi letteraria, da un’opera buffa di Cerlone, della sua fortunata canzone A Marechiaro. Eppure un giorno, in compagnia di una bella inglesina egli si reca sul luogo famoso e vi trova una fenestella, un vaso di fiori e sinanche una Carolina e un oste che assicura: “Un giorno il poeta venne qui a colazione, vide la finestra, vide i garofani, vide Carolina e mise tutto nella canzone”. La finzione letteraria si fa dispositivo turistico». Oggi siamo di fronte al duplicato della finzione, una finzione al quadrato.