Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quella trasferta del San Carlo alla Royal Opera di Londra
La mitica trasferta a Covent Garden all’indomani della crisi del conflitto mondiale
«Un concerto, una storia: Toscanini riapre La Scala», titolava giovedì scorso l’edizione milanese del Corriere nella sua pagina culturale. È un ricordo del concerto dell’11 maggio 1946 che dette il segno della volontà di rinascita di Milano ancora in macerie, ma con la Scala, immagine dell’orgoglio civico della città, rimessa in piedi prima d’ogni altro edificio sventrato. Quel concerto – con il grande direttore esule negli Stati Uniti rientrato con un viaggio lungo e tormentato – ebbe un suo forte segnale politico con l’affidare alla Musica lirica, arte tipicamente italiana, il compito del riscatto dalla tragedia della guerra.
Riparlarne ora è coerente con la fase-tre dell’epidemia, quando la ripresa delle attività musicali è auspicata un po’ dappertutto con equivalenti finalità. Non parimenti al concerto di Milano è ricordata l’eguale missione compiuta dal San Carlo pochi mesi dopo, nell’ottobre dello stesso anno, in circostanze ben più ardite, spostandosi con tutte le sue componenti – buona parte dell’orchestra e solisti, coro, tecnici – dalle rovine di Napoli a quelle di Londra. Iniziativa voluta dagli stessi Inglesi, sfidando il possibile risentimento del popolo di quella città, disastrata oltre che dalla Luftwaffe, anche dai vecchi Savoia-Marchetti dell’Aviazione italiana.
Era accaduto che il nostro Teatro aveva superato pressoché incolume i cento e più bombardamenti su Napoli, con minimi danni al ridotto affiancato all’originale corpo di fabbrica in occasione della visita di Hitler nel 1938. E che all’entrata degli Alleati in città nell’ottobre del 1943 la componente britannica della Quinta Armata aveva requisito e preso possesso del Teatro affidandone la ripresa funzionale a un ufficiale della Royal Army, il capitano Peter
Francis, per farne un restcamp musicale per i militari in avvicendamento dal fronte. Circostanza fortunata per il San Carlo che alternando Traviate a Rigoletti, Boheme a Butterfly riprese vita a ritmo frenetico, col sipario che si apriva tutti i giorni e alla domenica due, con ingresso riservato ai militari dell’Esercito vincitore e strettamente
off limits per la popolazione civile.
Gli inglesi si fecero vanto di questa operazione (gli americani cercarono di pareggiare il conto requisendo il cinema Delle Palme per trasformarlo in un Teatro d’opera bis ) e attraverso Radio Napoli, emittente istituita dal Pwb, l’organismo destinato alla propaganda alleata, il San Carlo venne collegato alla Bbc così che le opere che vi si rappresentavano potessero essere ascoltate anche nel Regno Unito.
Nel contempo, a Londra la Royal Opera House, il famoso Covent Garden, restava chiuso, benché anch’esso avesse mura intatte. Ma la sua compagine produttiva era dispersa, chi militare, chi sfollato, se non peggio, con i pochi musicisti superstiti insufficienti a formare un’orchestra. Nel Controlling Comitee del San Carlo, presieduto dal generale Cripps, al quale va la paternità dell’iniziativa, c’era anche un ufficiale canadese d’origine russa, il tenente Skubikowsky che da borghese era attivo come organizzatore di eventi musicali. Fu questi a pianificare la trasferta, appoggiandosi all’impresa londinese Boosey & Hawkes e programmare una stagione d’opera italiana della durata di un mese con sei titoli: Traviata, Tosca, Rigoletto, Boheme, Cavalleria e Pagliacci, Madama Butterfly e Barbiere di Siviglia, con la partecipazione dei migliori cantanti del momento, compreso Beniamino Gigli che per aver inciso il disco ufficiale di «Giovinezza» era considerato il tenore del Regime.
L’accoglienza fu entusiastica sia del pubblico che della critica: i rapporti tra Gran Bretagna e Italia erano ancora regolati dall’ armistizio, il trattato di pace verrà firmato a Parigi l’anno successivo. Ma la sostanza l’aveva già anticipata la Musica del San Carlo.