Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Ok ristrutturare i palazzi storici ma va semplificata la burocrazia »
L’architetto Martiniello e l’occasione di recupero del patrimonio edilizio di Napoli «Per ottenere permessi e concessioni c’è da aspettare di solito dai 6 ai 9 mesi»
Prima con il piano casa e poi con il decreto Rilancio, Governo e Regioni spingono gli italiani a ristrutturare casa: gli obiettivi dichiarati sono il contrasto alla crisi economica, la tutela dei livelli occupazionali, lo stimolo all’uso di energie rinnovabili, l’incremento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica e privata anche attraverso la riqualificazione di aree urbane degradate o esposte a particolari rischi ambientali e sociali. «Ed è un’occasione per recuperare il patrimonio edilizio storico delle nostre città, a patto che i tempi di realizzazione vengano allungati con un emendamento o si semplifichino le pratiche burocratiche». A dichiararlo è Antonio G. Martiniello, architetto fondatore di Keller Architettura lo studio di progettazione, nato in Austria e poi trasferito a Napoli, attivo nella rigenerazione degli spazi cittadini – e di Officina Keller – un luogo in cui si sperimentano nuovi modi per creare lavoro facendo rivivere antichi mestieri, attraverso la visione di artisti e designers.
Architetto, lei quindi considera troppo breve il lasso di tempo previsto attualmente dal decreto per la chiusura dei lavori?
«Per effettuare le modifiche strutturali necessarie per gli adeguamenti termici e antisismici sugli edifici storici, soprattutto su quelli vincolati, occorrono permessi e concessioni da parte della Soprintendenza ai beni artistici e architettonici ed e l Genio Civile. Per ottenerne alcuni, normalmente, i tempi variano dai 6 ai 9 mesi, in condizioni normali. In questo momento giacciono concessioni da 3 mesi e i nuovi protocolli si potranno consegnare a partire dal 3 luglio. È evidente che i tempi sarebbero troppo stretti se non si rinviasse al 2022 e se non si pensasse ad una semplificazione di alcune procedure, mediante autocertificazione».
A parte la tempistica, considera il decreto l’occasione buona per rigenerare l’architettura urbana?
«È propizia per recuperare i palazzi storici, soprattutto quelli abitati che cadono a pezzi. Sebbene esista una legge che in caso di necessità impone ai Comuni e alle Soprintendenze di agire in danno, finora non si è fatto niente perché i Comuni non avevano i soldi. Ora c’è l’opportunità di ovviare, ed evitare che i cornicioni ci cadano addosso».
A proposito di edilizia abitativa, lei crede che la pandemia abbia cambiato l’approccio delle persone con la propria casa?
«Sicuramente le ha rese più consapevoli che la casa va pensata non come un set cinematografico, da esibire agli ospiti, ma partendo dalle esigenze quotidiane. Un concetto che mi sono trovato spesso a dover difendere, con i miei clienti. Perché soprattutto qui al Sud, per tradizione, si tende a dedicare agli ospiti e alla rappresentanza, la parte più bella e luminosa della casa, senza pensare che il modo migliore per accogliere gli amici è far vivere loro il tuo spazio quotidiano, non stanze che normalmente sono chiuse e non parlano di te, della tua vita».
Quindi l’attenzione è sul confort quotidiano?
«Sì, che poi è il lavoro dell’architetto: progettare un’abitazione che assolva le esigenze del cliente, lavorando anzitutto su spazio e luce, e farne un contenitore funzionale che poi nel tempo può essere modificato. Perché la casa cresce, cambia, insieme a chi la abita. Molte di queste esigenze ci sono sempre state. Pensi ad esempio che già Le
Vivere le stanze «La pandemia insegna che l’abitazione non va esibita come un set cinematografico»
Corbusier, agli inizi del ‘900, quando progettava una casa, era solito nascondere un piccolo lavandino all’ingresso, per lavare le mani».
Spesso insieme all’architetto si decidono anche gli arredi. Per lei quali sono i fondamentali?
«Io consiglio sempre di fare un investimento su un divano di alta qualità, in un colore più neutro possibile, perché poi lo si può rinnovare con copridivano o scialli. Parlando di design, con Officina Keller ho attivato una rete di artigiani e creativi per sperimentare modalità innovative per la formazione di nuova forza lavoro attraverso l’inclusione sociale. E credo che questa sia la via futura che si debba tracciare:: meno oggetti ma di qualità e dal valore etico».