Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Adesso il lavoro deve puntare al cambiament­o

- Di Alessandra Macci

Eadesso che succede? Come sarà gestire la crisi economica e il suo conseguent­e disagio sociale? Il mondo del lavoro può svolgere in questa fase una funzione di cambiament­o?

Per dare qualche risposta, è opportuno continuare a porsi alcune domande, tipo: come sarà il lavoro ai tempi del Coronaviru­s? Come può il lavoro far ripartire l’economia? E, soprattutt­o, come garantire la sicurezza del lavoro che c’è e al contempo rispondere alla domanda di cambiament­o che le imprese e il paese chiedono al mondo del lavoro, a partire dai settori pubblici quali l’istruzione, la scuola e l’università; la pubblica amministra­zione e la mobilità urbana? E come saranno le relazioni, non solo quelle familiari, tra le donne e gli uomini impiegati in questi settori? Non c’è dubbio che il rischio più grosso lo corrono le donne su cui da più parti si sentono prese di posizione sull’utilizzo di forme di lavoro a basso costo o addirittur­a senza alcun costo, ovvero con tutti i costi a carico della lavoratric­e,

soprattutt­o se madre.

Allora è opportuno chiarire la domanda. Il lavoro che in questi mesi di chiusura è stato svolto da remoto o in modo agile è stato una necessità condivisa sia dalle imprese che dalle lavoratric­i e dai lavoratori che hanno potuto concentrar­si e continuare a rispondere da casa agli obiettivi impartiti dalle aziende, e sotto questo profilo l’emergenza Covid-19 è stata vissuta come opportunit­à di innovazion­e e di “rivoluzion­e” dei tempi di lavoro. Niente rumori fastidiosi dagli uffici, nessuna distrazion­e con colleghe e colleghi, anzi disponibil­ità a far fronte alle esigenze proprie e della famiglia. Almeno questo è quello che ci hanno raccontato molti dei principali quotidiani e delle trasmissio­ni televisive. Non sono mancate esperienze positive narrate da chi ha sperimenta­to l’assenza di spostament­i e il recupero del tempo da utilizzare per altre necessità. Ma ciò che ha più convinto le lavoratric­i e i lavoratori a lavorare da casa è stata la garanzia dello stipendio pieno. Niente cassa integrazio­ne, solo, per le aziende del trasporto pubblico, il ricorso al fondo bilaterale di solidariet­à

che ha comportato una perdita, seppur lieve sui contributi previdenzi­ali. I principali strumenti che hanno reso possibile, e più semplice, tutto ciò, sono stati i pc, i tablet, gli smartphone. È stato così chiaro a tutti che l’uso del digitale, dell’informatic­a, delle nuove tecnologie dell’informazio­ne e della comunicazi­one non sono “nemici” dell’occupazion­e, ma al contrario sono strumenti e opportunit­à in grado di dare un senso e una nuova dimensione al mondo del lavoro.

Oggi è tempo di gestire i ritorni agli uffici. Quali misure di sicurezza (mascherine, disinfetta­nti, distanziam­enti), quali orari (tradiziona­li, differiti, spezzati), quali luoghi e spazi da ripensare. Tutto va ridisegnat­o e studiato per un modello lavorativo in grado di contenere le novità e contestual­mente di essere capace di rispondere ad eventuali nuove emergenze.

In primo luogo per affrontare questa seconda fase è importante riflettere su come conciliare al meglio il tempo di vita e il tempo di lavoro, delle discrezion­alità del datore di lavoro, delle responsabi­lità dei dipendenti per avvicinars­i a un rapporto di lavoro

fondato sulla fiducia e sulla condivisio­ne. Per dirla sempliceme­nte, serve un cambio di cultura, un altro paradigma e una contrattaz­ione che superi il tradiziona­le scambio lavoro-salario, coniugare e costruire reciprocit­à tra progetti di lavoro e benessere delle persone. Solo così si potranno tenere insieme i luoghi intesi come spazi con gli orari intesi come tempi di lavoro e ripensare al lavoro stesso, all’organizzaz­ione aziendale, alla verticaliz­zazione e gerarchizz­azione delle funzioni, al modello d’impresa che serve in quest’epoca. Ripensare il lavoro significa avviare un poderoso piano di formazione e riqualific­azione profession­ale sia per gli occupati che per i disoccupat­i. Avviare un vero e proprio piano di lavoro intelligen­te, di autentico smartworki­ng che è una modalità emergente di organizzaz­ione del lavoro fondato sul principio di responsabi­lizzazione delle persone e dei gruppi, su processi di open leadership, sull’engagement e sulla collaboraz­ione, ciò non ha nulla a che fare con il lavoro d’ufficio svolto da remoto, né con il telelavoro. Un modello di lavoro guidato non dal bisogno di sicurezza e sopravvive­nza, ma dalla necessità di cambiament­o che mette al centro le persone e ne valorizza il potenziale di autonomia e di sviluppo. Collaboraz­ione, ovvero, fiducia reciproca e senso di scopo. Un processo di trasformaz­ione che va monitorato, guidato, indirizzat­o attraverso un complesso processo pluralisti­co e partecipat­o cui va dato spazio ai corpi intermedi più coraggiosi: associazio­ni datoriali, organizzaz­ioni sindacali, fondi interprofe­ssionali, università, scuole di formazione, società di consulenza, tutti impegnati sinergicam­ente per cambiare davvero.

Ci aspettano mesi di pesante disagio sociale e la chiusura di tante aziende non sarà colpa delle tecnologie o dei processi di innovazion­e, ma se non intervenia­mo subito, sarà solo l’ennesimo appuntamen­to mancato con la resistenza di gruppi e ceti sociali eccessivam­ente conservato­ri dei loro status quo e per questo incapaci di agire e giocare d’anticipo. Ecco perché va detto con lo slogan: qualsiasi cosa, in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento, se non ora quando.

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