Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Adesso il lavoro deve puntare al cambiamento
Eadesso che succede? Come sarà gestire la crisi economica e il suo conseguente disagio sociale? Il mondo del lavoro può svolgere in questa fase una funzione di cambiamento?
Per dare qualche risposta, è opportuno continuare a porsi alcune domande, tipo: come sarà il lavoro ai tempi del Coronavirus? Come può il lavoro far ripartire l’economia? E, soprattutto, come garantire la sicurezza del lavoro che c’è e al contempo rispondere alla domanda di cambiamento che le imprese e il paese chiedono al mondo del lavoro, a partire dai settori pubblici quali l’istruzione, la scuola e l’università; la pubblica amministrazione e la mobilità urbana? E come saranno le relazioni, non solo quelle familiari, tra le donne e gli uomini impiegati in questi settori? Non c’è dubbio che il rischio più grosso lo corrono le donne su cui da più parti si sentono prese di posizione sull’utilizzo di forme di lavoro a basso costo o addirittura senza alcun costo, ovvero con tutti i costi a carico della lavoratrice,
soprattutto se madre.
Allora è opportuno chiarire la domanda. Il lavoro che in questi mesi di chiusura è stato svolto da remoto o in modo agile è stato una necessità condivisa sia dalle imprese che dalle lavoratrici e dai lavoratori che hanno potuto concentrarsi e continuare a rispondere da casa agli obiettivi impartiti dalle aziende, e sotto questo profilo l’emergenza Covid-19 è stata vissuta come opportunità di innovazione e di “rivoluzione” dei tempi di lavoro. Niente rumori fastidiosi dagli uffici, nessuna distrazione con colleghe e colleghi, anzi disponibilità a far fronte alle esigenze proprie e della famiglia. Almeno questo è quello che ci hanno raccontato molti dei principali quotidiani e delle trasmissioni televisive. Non sono mancate esperienze positive narrate da chi ha sperimentato l’assenza di spostamenti e il recupero del tempo da utilizzare per altre necessità. Ma ciò che ha più convinto le lavoratrici e i lavoratori a lavorare da casa è stata la garanzia dello stipendio pieno. Niente cassa integrazione, solo, per le aziende del trasporto pubblico, il ricorso al fondo bilaterale di solidarietà
che ha comportato una perdita, seppur lieve sui contributi previdenziali. I principali strumenti che hanno reso possibile, e più semplice, tutto ciò, sono stati i pc, i tablet, gli smartphone. È stato così chiaro a tutti che l’uso del digitale, dell’informatica, delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione non sono “nemici” dell’occupazione, ma al contrario sono strumenti e opportunità in grado di dare un senso e una nuova dimensione al mondo del lavoro.
Oggi è tempo di gestire i ritorni agli uffici. Quali misure di sicurezza (mascherine, disinfettanti, distanziamenti), quali orari (tradizionali, differiti, spezzati), quali luoghi e spazi da ripensare. Tutto va ridisegnato e studiato per un modello lavorativo in grado di contenere le novità e contestualmente di essere capace di rispondere ad eventuali nuove emergenze.
In primo luogo per affrontare questa seconda fase è importante riflettere su come conciliare al meglio il tempo di vita e il tempo di lavoro, delle discrezionalità del datore di lavoro, delle responsabilità dei dipendenti per avvicinarsi a un rapporto di lavoro
fondato sulla fiducia e sulla condivisione. Per dirla semplicemente, serve un cambio di cultura, un altro paradigma e una contrattazione che superi il tradizionale scambio lavoro-salario, coniugare e costruire reciprocità tra progetti di lavoro e benessere delle persone. Solo così si potranno tenere insieme i luoghi intesi come spazi con gli orari intesi come tempi di lavoro e ripensare al lavoro stesso, all’organizzazione aziendale, alla verticalizzazione e gerarchizzazione delle funzioni, al modello d’impresa che serve in quest’epoca. Ripensare il lavoro significa avviare un poderoso piano di formazione e riqualificazione professionale sia per gli occupati che per i disoccupati. Avviare un vero e proprio piano di lavoro intelligente, di autentico smartworking che è una modalità emergente di organizzazione del lavoro fondato sul principio di responsabilizzazione delle persone e dei gruppi, su processi di open leadership, sull’engagement e sulla collaborazione, ciò non ha nulla a che fare con il lavoro d’ufficio svolto da remoto, né con il telelavoro. Un modello di lavoro guidato non dal bisogno di sicurezza e sopravvivenza, ma dalla necessità di cambiamento che mette al centro le persone e ne valorizza il potenziale di autonomia e di sviluppo. Collaborazione, ovvero, fiducia reciproca e senso di scopo. Un processo di trasformazione che va monitorato, guidato, indirizzato attraverso un complesso processo pluralistico e partecipato cui va dato spazio ai corpi intermedi più coraggiosi: associazioni datoriali, organizzazioni sindacali, fondi interprofessionali, università, scuole di formazione, società di consulenza, tutti impegnati sinergicamente per cambiare davvero.
Ci aspettano mesi di pesante disagio sociale e la chiusura di tante aziende non sarà colpa delle tecnologie o dei processi di innovazione, ma se non interveniamo subito, sarà solo l’ennesimo appuntamento mancato con la resistenza di gruppi e ceti sociali eccessivamente conservatori dei loro status quo e per questo incapaci di agire e giocare d’anticipo. Ecco perché va detto con lo slogan: qualsiasi cosa, in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento, se non ora quando.