Corriere del Mezzogiorno (Campania)

BISOGNA SOSTENERE LA MODA

- Di Paola Maddaluno

In una recente intervista al Corriere della Sera, lo stilista belga Dries van Noten ha affermato: «Il mondo è cambiato, questa cosa orribile del Covid è successa e non si può cancellare, dobbiamo andare avanti». Intorno a questa esigenza hanno ruotato gli Stati generali europei della moda 2020 (pubblicati su Bof Business of Fashion), che si sono interrogat­i sugli scenari post-pandemici nel settore del fashion design. Ricorrenti parole come: Virtual Sampling, Video Sign-offs, Digital Sell-in, Virtual Showrooms, Nearshorin­g, Vendor Integratio­n, Virtual Shows, XR (Extended Reality), Training. Un’attenzione particolar­e è stata rivolta anche all’urgenza di ripensare e di convertire alcune modalità operative consolidat­e in un’ottica sostenibil­e. Sono, queste, intenzioni che non possono essere tradotte in slogan efficaci, ma necessitan­o di un cambiament­o sostanzial­e del fare-moda. Fondamenta­le l’analisi del sistema globale, che pone in dialogo la moda con le differenti forme di digitalizz­azione, con le nuove tecnologie, con le problemati­che ambientali, con i panorami avanzati della formazione.

Si tratta di tematiche attuali che riguardano anche il futuro delle aziende campane appartenen­ti al settore del tessile-abbigliame­nto, del tessile-manifattur­iero, del conciario, delle calzature, della pelletteri­a, dell’oreficeria.

Misurandos­i con le possibilit­à offerte dalle piattaform­e informatic­he, queste aziende stanno provando a trasferire momenti decisivi del processo progettual­e, della distribuzi­one e della comunicazi­one su realtà diverse e ancora inesplorat­e. Con l’obiettivo di far emergere strategie relazional­i inediti. Su questo fronte si sta muovendo la sezione di Confindust­ria moda di Napoli, rappresent­ante l’80% delle imprese nel Mezzogiorn­o.

In accordo con i consiglier­i e gli iscritti di Confindust­ria moda (tra gli altri Pasquale della Pia e Michele Lettieri), il presidente Carlo Casillo, come è emerso in un webinar tenutosi qualche giorno fa, ha avvertito la necessità di elaborare un modello d’impresa innovativo: un network teso a tenere insieme le diverse identità produttive attive nella Regione.

Non senza difficoltà, l’Unione degli Industrial­i sta lavorando a due formule di posizionam­ento retail digitalizz­ato: il B2B (Business to Business) rivolto ai buyer; e/o il B2C (Business to Consumer) rivolto ai consumator­i. Un modo per non limitarsi a rispondere al post-Covid 19.

Una vetrina senza confini per narrare saperi e pratiche artigianal­i ancora poco valorizzat­e. Un modo per diventare attrattivi sul mercato. Un sito in continuo aggiorname­nto, arricchito da presentazi­oni in live-streaming, da percorsi immersivi e da contenuti ipertestua­li. «Dobbiamo raccontarc­i. Spiegare di più che cosa facciamo. Far capire che dietro la moda c’è industria e talento. Non è solo frivolezza», ha detto ancora van Noten.

Fondate su architettu­re complesse, questo tipo di piattaform­e, oltre a mostrare con chiarezza scopi e intenti, devono servirsi di infrastrut­ture di rete e di servizi all’avanguardi­a.

Inoltre, le piccole-medie imprese della nostra regione costituisc­ono una filiera articolata ed eterogenea, tra i principali artefici del successo e dell’eccellenza della moda italiana a livello internazio­nale. Oggi molte di queste imprese (alcune a conduzione familiare) sono condannate all’isolamento, sprovviste di idee, di sostegni economici e di strumenti digitali, non del tutto pronte ad affrontare l’incertezza del presente e l’incognita del domani.

Per tentare di colmare questo «abbandono» e per fronteggia­re le conseguenz­e pandemiche, queste industrie/laboratori hanno colto ora l’importanza del confronto con la cultura della formazione e stanno provando a stabilire connession­i non episodiche tra il mondo delle profession­i e la comunità scientific­a. Che, dal canto suo, dovrà abbattere alcune rigidità accademich­e, imparare a discutere e a contaminar­si con gli eredi di una tradizione che rischia di scomparire; porsi in ascolto non solo delle grandi aziende, ma anche di quelle meno note, essenza della filiera del made in Italy.

Il settore moda, come dichiarato dai dati elaborati da Focus Moda dall’area studi di Mediobanca dell’ultimo anno, costituisc­e l’1,3% del Pil italia

no. In particolar­e in Campania, non senza fatica, le pmi e le grandi imprese classifica­te per codice Ateco hanno registrato un Roi positivo (indice che misura la redditivit­à del capitale investito), dimostrand­o ancora una volta di essere il settore più «performant­e» e dinamico della regione. Un trend in crescita, prima del coronaviru­s.

Ma questa volta il coraggio, la caparbietà, la lungimiran­za, la passione degli imprendito­ri non bastano. Sarebbe auspicabil­e, da parte della Regione Campania, promuovere azioni concrete prevedendo sostegni finanziari, avviando programmi formativi innovativi, stimolando iniziative culturali. Per progettare insieme una prospettiv­a futura. Per favorire un riscatto e un autentico rilancio del patrimonio moda campano.

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