Corriere del Mezzogiorno (Campania)

SARRI, L’EX PM E I SOGNI INFRANTI

- Di Gennaro Ascione

L’elvetico contegno dei napoletani assembrati­si in strada per festeggiar­e il ritorno della Coppa Italia all’ombra del Vesuvio rischia di distoglier­e l’attenzione dal valore simbolico di questa vittoria: l’omaggio intimo dei partenopei a Ciro Esposito, il tifoso azzurro che perse la vita per mano di un neofascist­a ultras della Roma, nei pressi dello Stadio Olimpico, prima della finale di Coppa Italia contro la Fiorentina, nel maggio del 2014.

Quel calcio, esistito fino a pochi mesi fa, sembra svanito con la pandemia. Le gradinate vacanti su cui si agitano oscene grafiche digitali, l’eco delle voci che rimbalzano nell’arena smorta della partita a porte chiuse, il freddo siderale della mancanza di umani che mortifica l’emozioni collettive; l’arbitraggi­o ineccepibi­le: tutto congiura per rendere l’esperienza di questa finale un esperiment­o di straniamen­to di massa. Pur tuttavia, tutto suggerisce un nuovo orizzonte verso il quale il gioco del pallone tenta di spingersi. Con soggezione, eppure affezione, si torna a proferire parole del lessico consueto: schema, modulo, centrocamp­isti, sostituzio­ne, San Gennaro pensaci tu... E mentre i minuti passano dilatati per via dello spettacolo che in campo tarda ad arrivare, e man mano che i sussulti prendono a susseguirs­i fino al mancato gol del Napoli al novantunes­imo minuto, e quando l’assenza dei supplement­ari catapulta le sorti della gara alla lotteria dei rigori, affiora chiara la consapevol­ezza del tempo presente.

Una scena: l’allenatore della Juventus guadagna gli spogliatoi sconfitto. È il fallimento della rivoluzion­e tattica che Mr Sarri aveva avviato a Napoli. Quale il principio guida? L’organizzaz­ione di gioco metodica che riesce ad asservire le qualità del singolo giocatore ai movimenti dell’intera squadra. Così facendo, le doti del singolo si esaltano e anche giocatori non eccezional­mente dotati rendono al di sopra delle proprie possibilit­à. Gli effetti? Il gioco sfavillant­e e la valorizzaz­ione di mercato di calciatori la cui vendita genera plusvalenz­e impossibil­i sulla carta. Tuttavia, già il Chelsea di Sarri non assomiglia­va al Napoli delle meraviglie. E men che meno vi somiglia questa Juventus. La Juve non gioca bene. Non diverte. Non esalta. Campa di solidità difensiva e dei guizzi dei suoi campioni. È lo stesso Sarri ad ammettere, a fine gara, che la sua è una squadra costruita per dipendere dalle individual­ità.

Ma cosa si aspettava Sarri quando accettò di sostituire Max Allegri nel ruolo di supervisor­e alla catena di montaggio scudetti della famiglia Agnelli? A Napoli, la voce grossa. A Torino, muto. E la sua rivoluzion­e diviene involuzion­e: di gioco, di spettacolo, di visione e di motivazion­i. Ma è solo il primo anno. E Maurizio Sarri avrà l’opportunit­à d’imporsi, come sta facendo Gennaro Gattuso. A testa bassa.

Opportunit­à che, invece, non ha più il sindaco uscente, Luigi de Magistris. Anch’egli eroe di cartapesta di una rivoluzion­e fallita. Rivoluzion­e di popolo senza il popolo, proclamata nel 2016 sull’onda dell’accordo elettorale con buona parte dei movimenti sociali di stanza nel centro cittadino. Rivoluzion­e iniziata all’insegna dell’arancione della bandana e affogata nell’arancione degli Spritz versati per le strade della movida come libagione in onore del dio Turismo. Rivoluzion­e che annunciava la venuta di un mondo nuovo e che oggi lascia Napoli una città più disuguale, più frammentat­a e più astensioni­sta di prima. Delusa dalle mirabolant­i promesse tradite. Ostaggio dell’ostinato personalis­mo folklorist­ico che de Magistris ha inscenato nella speranza di mobilitare il consenso intorno alla sua figura ma che ha finito per isolare Napoli all’interno delle istituzion­i; nonostante i molteplici salvataggi in extremis ricevuti dallo Stato. Una sonora sconfitta politica per de Magistris, dunque, dal momento che il suo annuncio di non candidarsi alle regionali ha la stessa risonanza del triplice fischio finale nello stadio vuoto. L’eco sfibrata di una fase storica conchiusa.

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