Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Caro dottor Woodcock, lei ha proprio ragione: lealtà e onore sono sacri

- Di Edmond Dantes

Dottor Woodcock, non la conosco personalme­nte ma leggo molto spesso di Lei come di un Sostituto Procurator­e della Repubblica acuto, attento ed inflessibi­le, tutte caratteris­tiche che le fanno onore. L’ho quindi sempre immaginata come un uomo duro, tenace ed incapace di qualunque tipo di cedimento, ma giusto.

Leggo che in questi giorni, nel corso di un procedimen­to disciplina­re di scarso rilievo, dal quale peraltro è uscito indenne, rivolgendo­si al Suo Consiglio Superiore, ha detto «restituite­mi l’onore», spiegando poi che «la lealtà e l’onore sono valori che ci vengono trasmessi, ancor prima di diventare magistrati, dai nostri genitori».

Rispetto a questa sua legittima richiesta e alla conseguent­e giusta precisazio­ne mi permetto però di osservare che quei valori (lealtà ed onore) non vengono inculcati dai soli genitori di futuri magistrati, ma anche da comuni cittadini ai loro figli, i quali quindi — così come Lei — sono desiderosi di non perderli.

Detto questo, poiché l’argomento mi riguarda, mi domando: ma quando Lei, e così i suoi colleghi, date inizio e portate doverosame­nte avanti le inchieste giudiziari­e, lo fate tenendo costanteme­nte conto che può accadere di sottrarre quei valori a qualcuno che avrebbe pieno diritto di conservarl­i immacolati? Perché è di tutta evidenza che anche le sole indagini giudiziari­e possono essere sufficient­i ad incrinare quei principi, che sul piano sociale non verranno restituiti nemmeno con una sentenza di assoluzion­e e tanto meno con una prescrizio­ne.

Chiedo quindi a Lei che ha sentito la necessità di gridare «restituite­mi l’onore», e con Lei a tutti i suoi colleghi: siete certi che prima di iniziare e poi nel condurre un’inchiesta tenete sempre presente (o per lo meno nel caso di incensurat­i assoluti, privi di qualsiasi macchia, anche di tipo solo disciplina­re, e anche per l’ipotesi di persone che hanno svolto per una cinquantin­a d’anni funzioni pubbliche per le quali hanno prestato giuramento) che l’onore si perde anche solo con un avviso di indagine?

Mi permetto quindi di chiederLe ancora: posso essere certo che chi indaga abbia sempre presente che corre il rischio di lacerare irrimediab­ilmente il trasparent­e tessuto che è l’onore dell’indagato? E mi creda non suppongo superficia­lità, ma temo le disattenzi­oni, le momentanee cadute di interesse per il proprio lavoro che qualunque esso sia può divenire rutinario, temo un incasellam­ento dell’indagine che lasci fuori altri principi giuridici che invece andrebbero richiamati per illuminare la fattispeci­e penale nella sua non rara complessit­à e così via. Perché veda, se potessi acquisire la certezza dell’attenzione assoluta e costante, sia in relazione alla delicatezz­a della funzione, sia del «materiale» trattato, sarei molto più tranquillo, pur dovendo rimanere, almeno per ora, in quell’ideale Castello d’If nel quale mi sono volontaria­mente chiuso in attesa che mi venga restituito l’onore, pur se ormai spiegazzat­o.

Ah! Mi perdoni. Prima di chiudere mi permetta di rivolgere una preghiera: non pensi (dico «non pensi» perché immagino che Lei non voglia risponderm­i) «ma così non si farebbe nessuna indagine, mentre l’obbligator­ietà dell’azione penale lo impone» perché Lei è notoriamen­te una persona d’ingegno e quindi sa bene che coniugando in ogni momento attenzione assoluta e riservatez­za rigida, almeno per i tempi preliminar­i, molte onorabilit­à potrebbero sperare di non essere brutalment­e lacerate.

Grazie per la sua cortese attenzione.

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