Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Caro dottor Woodcock, lei ha proprio ragione: lealtà e onore sono sacri
Dottor Woodcock, non la conosco personalmente ma leggo molto spesso di Lei come di un Sostituto Procuratore della Repubblica acuto, attento ed inflessibile, tutte caratteristiche che le fanno onore. L’ho quindi sempre immaginata come un uomo duro, tenace ed incapace di qualunque tipo di cedimento, ma giusto.
Leggo che in questi giorni, nel corso di un procedimento disciplinare di scarso rilievo, dal quale peraltro è uscito indenne, rivolgendosi al Suo Consiglio Superiore, ha detto «restituitemi l’onore», spiegando poi che «la lealtà e l’onore sono valori che ci vengono trasmessi, ancor prima di diventare magistrati, dai nostri genitori».
Rispetto a questa sua legittima richiesta e alla conseguente giusta precisazione mi permetto però di osservare che quei valori (lealtà ed onore) non vengono inculcati dai soli genitori di futuri magistrati, ma anche da comuni cittadini ai loro figli, i quali quindi — così come Lei — sono desiderosi di non perderli.
Detto questo, poiché l’argomento mi riguarda, mi domando: ma quando Lei, e così i suoi colleghi, date inizio e portate doverosamente avanti le inchieste giudiziarie, lo fate tenendo costantemente conto che può accadere di sottrarre quei valori a qualcuno che avrebbe pieno diritto di conservarli immacolati? Perché è di tutta evidenza che anche le sole indagini giudiziarie possono essere sufficienti ad incrinare quei principi, che sul piano sociale non verranno restituiti nemmeno con una sentenza di assoluzione e tanto meno con una prescrizione.
Chiedo quindi a Lei che ha sentito la necessità di gridare «restituitemi l’onore», e con Lei a tutti i suoi colleghi: siete certi che prima di iniziare e poi nel condurre un’inchiesta tenete sempre presente (o per lo meno nel caso di incensurati assoluti, privi di qualsiasi macchia, anche di tipo solo disciplinare, e anche per l’ipotesi di persone che hanno svolto per una cinquantina d’anni funzioni pubbliche per le quali hanno prestato giuramento) che l’onore si perde anche solo con un avviso di indagine?
Mi permetto quindi di chiederLe ancora: posso essere certo che chi indaga abbia sempre presente che corre il rischio di lacerare irrimediabilmente il trasparente tessuto che è l’onore dell’indagato? E mi creda non suppongo superficialità, ma temo le disattenzioni, le momentanee cadute di interesse per il proprio lavoro che qualunque esso sia può divenire rutinario, temo un incasellamento dell’indagine che lasci fuori altri principi giuridici che invece andrebbero richiamati per illuminare la fattispecie penale nella sua non rara complessità e così via. Perché veda, se potessi acquisire la certezza dell’attenzione assoluta e costante, sia in relazione alla delicatezza della funzione, sia del «materiale» trattato, sarei molto più tranquillo, pur dovendo rimanere, almeno per ora, in quell’ideale Castello d’If nel quale mi sono volontariamente chiuso in attesa che mi venga restituito l’onore, pur se ormai spiegazzato.
Ah! Mi perdoni. Prima di chiudere mi permetta di rivolgere una preghiera: non pensi (dico «non pensi» perché immagino che Lei non voglia rispondermi) «ma così non si farebbe nessuna indagine, mentre l’obbligatorietà dell’azione penale lo impone» perché Lei è notoriamente una persona d’ingegno e quindi sa bene che coniugando in ogni momento attenzione assoluta e riservatezza rigida, almeno per i tempi preliminari, molte onorabilità potrebbero sperare di non essere brutalmente lacerate.
Grazie per la sua cortese attenzione.