Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Tutti pazzi per gli Eduardo
Sono ben due i film dedicati alla grande famiglia teatrale napoletana (ed europea) Quasi pronto «Qui rido io» di Mario Martone con Toni Servillo dedicato a Scarpetta Verso i primi ciak «I tre De Filippo», regia di Sergio Rubini, prodotto da Pepito
Parlare di ritorno agli Scarpetta-De Filippo sarebbe impreciso perché l’attenzione dalla famiglia teatrale per eccellenza non si è mai distolta, né a Napoli né nel mondo. Ma certo colpisce la coincidenza, probabilmente non casuale nel 120esimo anniversario della nascita di Eduardo, della produzione di ben due film equamente distribuiti tra Scarpetta e i De Filippo. Il primo con la regia di Mario Martone, «Qui rido io» prodotto da Indigo e Publispei con RaiCinema – si concentra sul capostipite che, figlio di un funzionario statale, Domenico Scarpetta e di Emilia Rendina, all’anagrafe fu registrato come Odoardo Lucio Facisso Vincenzo. La famiglia non se la passava affatto bene e a quindici anni Odoardo-Eduardo riesce a farsi scritturare come generico nella compagnia di Antonio Petito di cui diviene capocomico nel 1879. S’inscrive, dunque, nel ceppo genetico del teatro napoletano in una filiazione d’arte che porterà in scena una vera «rivoluzione» con il passaggio da Pulcinella a Felice Sciosciammocca.
Martone dirige Toni Servillo nella sua nuova metamorfosi, Maria Nazionale, Cristiana Dell’Anna, Antonia Truppo, Eduardo Scarpetta (figlio di Mario e, quindi, discendente diretto) Paolo Pierobon, Lino Musella, Roberto De Francesco, Gianfelice Imparato e Iaia Forte.
L’altro film la cui lavorazione imminente è stata annunciata dal suo produttore Giuseppe Saccà da queste pagine è, invece, un film sui tre fratelli in ordine di nascita Titina, Eduardo e Peppino De Filippo.
Per la Pepito, l’etichetta che ha già prodotto la pluripremiata «Tenerezza» di Gianni Amelio con Renato Carpentieri ed Elio Germano, l’organizzazione spetta a Maria Grazia Saccà, perché anche in questo caso si tratta di una famiglia ma di produttori (il capostipite è il calabrese Agostino, già direttore generale della Rai). La regia è di Sergio Rubini che oltre al percorso scenico racconterà le «complesse vite private, le rotture, la difficoltà di misurasi coi sentimenti, una certa anaffettività di Eduardo che, alla fine della sua vita, parlò del gelo della propria esistenza».
Quali volti avranno Titina, Eduardo e Peppino? Il casting non è ancora noto ma Rubini ha detto di averli già scelti tra giovani attori napoletani e che i loro nomi verranno resi noti quando si potrà riaprire in tranquillità un set.
Leggendo biografie, diari, autobiografie, lettere e memorie e incrociandole tra loro ci sono alcune scene che si intrecciano e fanno da ponte dall’uno all’altro film. La prima: sul letto di morte Eduardo Scarpetta, padre naturale dei tre fratelli De Filippo (che portano il cognome della madre, Rosa De Filippo nipote della moglie di Scarpetta) disse congedandosi: «Io non vi ho dato il cognome, ma voi vi siete presi l’arte». La seconda: funerali di Scarpetta, un lutto che coinvolse tutta la città. Che ruolo o posto dare ai figli illegittimi che non erano solo i tre attori: l’autore di «Miseria e nobiltà» ne ebbe infatti altri da consanguinee della moglie che a sua
«Sta passanno Scarpetta, sta passanno Scarpetta» cosicché i negozi avrebbero avuto il tempo di abbassare la saracinesca in segno di lutto.
Il voyeurismo inarrestabile del pubblico nei confronti di questa famiglia allargata è giustificato, con ogni probabilità, non solo dalla pregnanza della loro opera quanto nella trama di per sé romanzesca dell’epopea di famiglia che, grazie a Eduardo, diventa serbatoio di un sistema di vasi comunicanti tra vita e opere.
Il film di Martone dovrebbe essere concluso e segue il successo e i premi meritati dal «Il sindaco del rione sanità». Da quel che trapela, al centro della narrazione - come già in uno spettacolo di grande impatto diretto da Francesco Saponaro con Peppe Servillo nei panni di D’Annunzio - ci sarebbe il famoso processo nato dalla querela di Gabriele D’Annunzio alla parodia scarpettiana «Il figlio di Iorio» che vide trionfare il comico grazie all’appoggio di Benedetto Croce. A testimoniare per il Vate, invece, c’era Roberto Bracco. Anche i tre bambini e poi ragazzi avviati al successo nel 1925 quando «zio Scarpetta» muore hanno una loro rilevanza nel film di Martone. E dove questi finisce, Rubini inizia. A monte di questa unitarietà tematica pare vi fosse l’idea originale di una o più serie televisive; progetti slegati o coordinati tra loro non è chiaro, ma una cosa è certa: di questo racconto non siamo mai sazi.
1925
È l’anno in cui il commediografo muore e segna il passaggio dall’una all’altra pellicola, dal padre ai figli