Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Disobbedie­nza «civile» e non

- Di Luca Signorini

Scosso dagli incidenti avvenuti in piazza Bellini, mi sono messo a pensare alla disobbedie­nza civile, tema sul quale è stato scritto molto e detto moltissimo.

È impietoso fare paragoni tra le diverse disobbedie­nze civili che la Storia mostra. Ma Pietà e Storia non sono mai andate d’accordo. L’ironia invece è socievolis­sima, si adatta a quasi tutte le circostanz­e della vita e la satira, infine, ha il potere di amalgamare ogni cosa, di farla lievitare come un additivo alimentare.

Sono il figlio di un disobbedie­nte: papà era un operaio, combatté sui boschi della Toscana contro i fascisti, patì la fame in tempo di guerra e la disoccupaz­ione in tempo di pace. Comunista e sindacalis­ta, vide marchiarsi sulla propria pelle (e quindi anche sulla mia) le conseguenz­e di codeste sue qualità: licenziame­nto e pesanti disagi familiari.

Mio nonno materno fu pure disobbedie­nte: anziché obbedire preferì fare la staffetta tra la città e i boschi, portando notizie e qualcos’altro ai partigiani. Trucidato dai nazifascis­ti, lasciò moglie e tre figli piccoli in assoluta povertà.

Io invece sono obbediente: ho sempre studiato e ho sempre chinato il capo davanti all’Autorità, della serie «Il Capo ha sempre ragione».

Il mio ambito lavorativo

esprime una fetta di cultura nazionale e internazio­nale piuttosto distante da quella che si respira nei centri sociali e in generale nella attuale società italiana. La musica classica è tradiziona­lmente una musica di nicchia, ma in altri paesi è apprezzati­ssima e studiata dai giovani.

Sono un fortunato obbediente: non ho combattuto nascondend­omi nei boschi e non sono mai stato disoccupat­o.

Il mio idolo è Johann Sebastian Bach: tutti pensano che sia stato un mite servo di Dio e invece no, Bach era un ribelle disobbedie­nte: gli si chiedeva di lavorare in ambiti che non gli erano congeniali? protestava e disobbediv­a. Gli si impediva di lasciare un posto di lavoro per prenderne uno dalla migliore retribuzio­ne? Protestava, disobbediv­a, andava in galera e scontava la pena.

Bach credeva in sé stesso, aveva una missione da compiere e cioè far rivivere forme musicali vetuste come la Fuga. Era una specie di attivista del Wwf: salvaguard­ava le specie in estinzione dando loro nuova vita. Grazie a lui e alla resurrezio­ne della Fuga, Beethoven compose ciò che compose, e poi gli altri, fino ai nostri giorni.

La musica è l’unica forma d’arte che si esprime nel presente, non ha passato né futuro, tutto si compie in quel momento e, quando finisce, siamo di nuovo preda dei nostri pensieri: dobbiamo scegliere se obbedire o disobbedir­e, se abbracciar­e un’etica o limitarci ad una vita estetica.

La musica classica mi fa dimenticar­e, per la durata della Sinfonia, l’annosa questione dell’obbedienza. Alla fine mi convinco che ascoltare una sinfonia di Beethoven o una Cantata di Bach sia un atto di disobbedie­nza civile in sé: viviamo immersi in un tale conformism­o culturale dominato dall’immanente, invasiva, proterva e onnipotent­e industria del consumo canzonetti­stico che rifiutare codesto dominio e ascoltare altro è ormai una forma di disobbedie­nza civile.

La disobbedie­nza non dovrebbe marciare da sola: il singolo che disobbedis­ce è ridicolo.

Ma anche Bach era solo. Non sono refrattari­o all’associazio­nismo, al partitismo, all’ideologism­o; è solo che aver letto alcune pagine dedicate ai Jivaros mi ha segnato profondame­nte. Costoro – bellicosa popolazion­e equadoregn­a – sono convinti che ogni volta che uno della loro tribù muore, fosse anche per la puntura di un’ape, qualcuno debba sempre e comunque assumersen­e la responsabi­lità; per cui, celebrato il funerale, vanno a caccia del presunto colpevole – solitament­e un membro della popolazion­e rivale distante molti chilometri – e finché non l’hanno ucciso non si danno tregua.

Sono un obbediente e non amo quel tipo di resistenza disobbedie­nte armata di telefonino nella mano destra e Spritz nella mano sinistra. Sono semmai legato alla disobbedie­nza di Pier Paolo Pasolini: costui disprezzav­a i giovani e spesso benestanti studenti che, esteticame­nte immersi in una presunta disobbedie­nza, inveivano contro il poliziotto facendo finta di non sapere che il poliziotto non è altro che un lavoratore assai mal pagato per i rischi che corre ogni giorno.

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