Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Liverpool come Napoli Ma la festa in piazza non scatena accuse
Vivere nel Sud del mondo è un marchio di gloria e infamia che – chi ha avuto la sorte di nascere in uno di questi posti – si porta addosso tutta la vita. La gloria è il genio, l’arte, la velocità di pensiero. La simpatia, l’affabilità, soprattutto: l’adattabilità. Uno sguardo più comodo verso le diversità e una tolleranza (quasi) sempre più gentile. L’infamia è tutto il resto; il pregiudizio, l’attesa, l’utopia del domani migliore. È così da sempre e sempre sarà così. Poi ci sono città atipiche, che non sono al Sud ma del Sud si portano in dote le croci e le delizie. Liverpool, per esempio.
Ha cullato i Beatles, storia della musica senza distinzione di genere, dato che i generi sono nati con loro. E ospita una delle tifoserie più calde del pianeta, molto simile a quella del Napoli. Però se a Napoli si vince la Coppa Italia e si va in strada in massa, la cultura del giudizio campanilistico e territoriale si mette in moto, attivata da una sirena di beceri, e fuori moda, luoghi comuni.
Se accade in zona Anfield, piena Inghilterra, il paese della Regina e del tè alle cinque, allora nessuno scomoda la pandemia. Intendiamoci, mio punto di vista: in questo momento reputo superflui, e sbagliati, gli assembranti incontrollati per la vittoria di un trofeo. Sia la Coppa Italia, la Premier o la Champions League. Non fosse altro per rispetto a chi di questa maledetta malattia ci è morto. E dato che il coronavirus aleggia ancora, forse più stanco ma sempre allegro, tra noi, due conti me li farei per la salvguardia della salute generale prima di scendere in strada per gioire. Ma il discorso è clinico, medico. Non di costume. Perché la gioia di Napoli vale quella di Liverpool. Varrà quella della città che festeggerà lo scudetto a inizio agosto, qui in Italia, sia Roma (sponda Lazio) o Torino (sponda bianconera). La gioia non conosce freno, è anarchica per natura, e giudicarla per posizionamento geografico è il solito teatrino, squallido, di chi guarda il mondo senza emozione e con un pizzico di ignoranza. La latitudine non è maligna. Lo è lo sguardo di chi la calcola, e già conosce dove sta il bene e dove, invece, il male.