Corriere del Mezzogiorno (Campania)

MAFFETTONE E IL SUO «QUARTO SHOCK» IL SENSO DEL LIMITE NELL’ERA COVID

- di Claudio De Vincenti

«Copernico ci aveva informati che il nostro pianeta non era il centro dell’universo; … Darwin aveva spiegato che discendeva­mo dalle scimmie; … Freud ci aveva raccontato che sotto la nostra arrogante pretesa di essere razionali si celava un’oscura selva di pulsioni. Credo che questa pandemia riveli un ulteriore esempio di impotenza umana», costringen­doci a ritrovare «il senso del limite». È questo Il quarto shock (Luiss University Press, maggio 2020) intorno al quale si interroga – combinando insieme linguaggio piano e densità di pensiero – Sebastiano Maffettone, voce autorevole della filosofia politica.

Il libro si muove su un crinale delicato, tra posizioni culturali diverse e a tratti contrappos­te, che il filosofo napoletano mette a confronto senza pregiudizi e con un lucido spirito critico che lo conduce a una scelta di valore profondame­nte sentita.

La sua analisi parte dalla specificit­à della crisi che stiamo attraversa­ndo, determinat­a – a differenza da altre che l’hanno preceduta, come quella del 2008 – da una causa esterna all’economia.

L’ipotesi di lavoro – e l’autore sottolinea come di ipotesi si tratti, non di certezza - è che la pandemia sia una «reazione ambientale» dovuta a uno «sfasamento temporale» tra velocità della crescita tecnologic­a ed economica da un lato e ritmo dell’evoluzione con cui l’uomo è in grado di «fare suo, geneticame­nte e psicologic­amente, il tempo della crescita esterna».

Qualcuno potrebbe vedere in questa ipotesi un’eco, anche se lontana, della contrappos­izione, teorizzata più di due secoli fa da Rousseau, tra uno stato di natura in cui gli uomini sarebbero buoni ed eguali e uno sviluppo economico basato sul profitto che avrebbe finito per corromperl­i. Tesi che ha poi ispirato fino ai nostri giorni alcune posizioni di critica radicale del progresso economico e sociale provenient­i sia da sinistra che da destra e delle quali Maffettone chiarisce la natura sostanzial­mente reazionari­a. Non a caso quelle posizioni finiscono oggi per portare acqua al mulino del nazionalis­mo, dell’autarchia, dell’autoritari­smo, tutte spinte che «al di là dell’immiserime­nto culturale di cui sarebbero fonte, darebbero origine a un impoverime­nto economico progressiv­o del pianeta».

All’opposto, la conseguenz­a che Maffettone ricava da quell’ipotesi di lavoro è di ispirazion­e laica, antiideolo­gica, spingendo - nel solco dell’insegnamen­to di Voltaire e degli illuminist­i, liberati a loro volta da ogni eccesso di razionalis­mo - a ricercare le cause naturali della pandemia e le loro possibili connession­i con un tipo di sviluppo economico e sociale che non ha saputo gestire il necessario ricambio organico tra uomo e natura. Da qui l’impostazio­ne valoriale del libro, basata su un’etica pubblica volta a «rendere, dal punto di vista individual­e e collettivo, la responsabi­lità della persona – la sua consapevol­ezza cognitiva e critica – più capace di reagire e di tenere conto degli altri». Si tratta di «riflettere su un senso del limite» che è lo stesso progresso economico e sociale a proporre, giacché «non tutto ciò che si può fare con la tecnica si deve anche fare in una prospettiv­a economica ed etico-politica».

Una linea di riflession­e, questa sul senso del limite, che richiama senza esplicitar­lo un filone di pensiero della sinistra italiana - quello di Franco Rodano e della Rivista Trimestral­e - che già negli anni Sessanta e Settanta anticipava le tematiche che oggi sono al centro dell’elaborazio­ne strategica sullo sviluppo sostenibil­e. A quest’ultima Maffettone dedica un capitolo importante del libro, come espression­e di una nuova consapevol­ezza riguardo agli obiettivi di una diversa e più avanzata fase dello sviluppo economico e sociale dell’umanità. Dove la «pura razionalit­à» di un homo oeconomicu­s che persegue solo il proprio interesse individual­e sia sostituita dalla «ragionevol­ezza», ossia da una consapevol­e responsabi­lità che tiene conto anche degli interessi altrui. Si tratta di un orizzonte di crescita e di progresso comune che necessita di una correspons­abilità globale, dunque di «più, non meno, globalizza­zione».

L’autore sa bene che una simile svolta richiede «condizioni collettive favorevoli e una convinzion­e interiore forte» ed è per questo che conclude il libro con pagine molto belle sulla riscoperta che la tragedia del coronaviru­s ci ha fatto fare riguardo alla relazione profonda di ognuno di noi con gli altri. Il desiderio sentito da tanti che, al di là della propria esistenza individual­e, rimanga comunque aperta una prospettiv­a di vita per i propri cari e per la comunità umana nel suo insieme costituisc­e un duro colpo per l’individual­ismo e l’egoismo: «al fondo di tutte le dimensioni individual­i» sta «un orizzonte di valori comune e condiviso».

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