Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Corsicato: dopo il successo in tv ecco il mio teatro con «La Chunga»
Il regista partenopeo parla del successo della sua serie «Vivi e lascia vivere» su Rai 1 e dell’allestimento del testo di Vargas Llosa per lo Stabile (dal 3 al Maschio Angioino) «Presto un mio documentario su Pompei prodotto da Sky e con Isabella Rosselli
«Grazie a “Vivi e lascia vivere”, la fiction girata per la tv, ho scoperto un nuovo modo di essere regista, molto più vicino alle mie caratteristiche e al mio modo d’essere». Pappi Corsicato, alla vigilia del debutto teatrale de «La Chunga» di Vargas Llosa, venerdì al Maschio Angioino alle 21 per la rassegna «Scena Aperta» curata dallo Stabile di Napoli, riparte da questa esperienza con Rai 1 che ha fatto registrare numeri straordinari nel periodo più duro del lockdown.
Allora se lo aspettava un successo così ampio?
«A dire il vero, no. E credo nemmeno i dirigenti Rai come Andreatta e Nardella. Per me era una novità assoluta, un po’ una sfida, che provava a mettere insieme un mio modo di raccontare le storie, una prospettiva diversa sulla mia città, e alcuni parametri di un prodotto Rai che non voleva perdere quell’identità. Ebbene questa fusione ha funzionato, registrando medie di 6 milioni e mezzo di spettatori a puntata con picchi di 7 nelle ultime. Qualcuno l’ha attribuito al fatto che la gente stesse a casa, ma va detto che nello stesso periodo altre produzioni non hanno raggiunto questi risultati. Non a caso mi fermano per strada e mi chiedono se ci sarà un sequel».
E lei sull’ipotesi di una seconda serie cosa risponde ?
«È difficile che ci sia, perché era stata pensata con storie che alla fine si chiudevano tutte. Quindi sarebbe un po’ una forzatura riaprirne delle altre con gli stessi personaggi. Certo non è impossibile, ma ci stiamo pensando su. Forse è più semplice farne una nuova e anche di questo stiamo discutendo. A me piacerebbe moltissimo, perché ho scoperto che il modo di girare rapido e adrenalinico delle serie tv, così diverso da quello cinematografico più lento e riflessivo, si addice molto al mio modo di intendere e vivere la regia».
Prima fiction, ma già molti film-documentari come quello su Julian Schnabel. Ce ne sono altri in arrivo?
«Sì, e sarà davvero importante, dedicato a Pompei, ma con un taglio molto originale in cui esploreremo come il mito greco vivesse fra i pompeiani. Ci sarà Isabella Rossellini e la produzione è divisa fra Sky Uk, Sky Italia e Ballandi Multimedia. Uscirà nei cinema a ottobre e poi andrà in televisione».
Veniamo quindi al teatro e al debutto de «La Chunga», nella traduzione di Ernesto Franco, dal 3 al 5 luglio. Che spettacolo sarà?
«Era un progetto nato con la vecchia direzione dello Stabile, che doveva andare in scena in marzo, poi bloccato dal lockdown. Roberto Andò ha però voluto inserirlo in questa tranche estiva ed eccoci qui con un allestimento che ovviamente terrà conto delle norme attuali di distanziamento. Anche se nella mia lettura prevaleva comunque una visione evocativa che di per sé evitava contatti fisici troppo “ravvicinati”».
Ci spiega la sua versione?
«La protagonista è la Chunga, interpretata da Cristina Donadio, un’ex prostituta che ha poi aperto una propria taverna, che io ho trasportato dal Perù a Napoli, dove è frequentata da giovani marinai, rispettivamente affidati a Francesco Di Leva, Simone Borrelli, Daniele Orlando e Antonio Gargiulo. Sono ragazzi dallo spirito molto goliardico che ballano e giocano, in un’atmosfera fra il
“Querelle de Brest” di Genet e i film “marinareschi” americani stile musical. Uno di loro perde tutto e mette in pegno la sua ragazza, la bella Mèch interpretata da Irene Petris. A sceglierla sarà proprio la Chunga, per una notte di cui nessuno saprà gli esiti se non nel racconto immaginario dei quattro uomini».
In Vargas Llosa si lascia intendere l’omosessualità della protagonista. Sarà così anche nella sua regia?
«No, quella è una visione molto maschile che non lascia spazio alla possibilità di un’amicizia profonda fra due donne, che non sia necessariamente condita dal sesso. Io ho preferito questa ipotesi, anche se poi il pubblico potrà scegliere quale versione, fra le quattro raccontate dai ragazzi, lo convince di più».