Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Mephistoph­eles a Palazzo Reale Il post-teatro del terzo millennio

- Di Stefano de Stefano

Il gruppo Anagoor, fondato in Veneto 20 anni fa, porta il nome della città immaginari­a di Dino Buzzati, un luogo di desiderio e attesa, proprio come il mondo attuale in progressiv­a consunzion­e ecologica, a cui sono rivolte le attenzioni del regista Simone Derai e compagni. Che stasera alle 21.30 nel Cortile d’onore di Palazzo Reale presentera­nno in prima mondiale per il Napoli Teatro Festival il loro nuovo lavoro, «Mephistoph­eles eine Grand Tour », una video-istallazio­ne con musica dal vivo che spinge sempre più la compagnia di Castelfran­co verso la dimensione di un post-teatro del terzo millennio, figlio di artisti come Bill Viola, Peter Greenaway, Bob Wilson e Romeo Castellucc­i di Socìetas Raffaello Sanzio.

Derai è d’accordo con questa definizion­e?

«Sì, sono i nostri riferiment­i principali anche se non amo le schematizz­azioni. Ma il teatro è un’arte inclusiva che assorbe al suo interno tanti linguaggi, anche quando, come in questo caso, sarebbe meglio definire lo spettacolo un concerto per immagini. In cui avrà un ruolo fondamenta­le la musica elettronic­a eseguita dal vivo dal sound designer Mauro Martinuz, mentre sullo schermo fluiranno i frammenti di video, molti inediti, girati per altri titoli

” Napoli è la nostra seconda casa anche perché ho un ramo familiare originario del Cilento. Qui si è subito creata un’attenzio ne forte verso la nostra ricerca. Penso alla presenza nel 2015 con «L-I Lingua Imperi» e «Virgilio brucia»

come “Orestea” e “Faust”, che fra l’altro è il generatore di “Mephistoph­eles”. Ovvero l’offerta all’uomo di un mondo migliore ma effimero, di cui si pagano poi le conseguenz­e distruttiv­e. Ma l’impianto resta drammaturg­ico e quindi teatrale, anche con un’introduzio­ne attoriale ripresa da “Faust”».

Qual è il centro dell’opera e come l’avete strutturat­a?

«Viviamo in un mondo in cui lo squilibrio fra l’intervento umano e la natura è andato crescendo in modo probabilme­nte irreversib­ile, e il nostro sguardo prova a raccontare questa involuzion­e, a tratti in modo crudo a tratti finemente poetico. Quindi, ben prima del Covid, avevamo pensato a un lavoro senza attori in scena, che raccontass­e il nostro “girato” di questi anni, che abbiamo strutturat­o in sette parti ovvero stelle e pianeti a ognuno dei quali legare un tema: il Sole con le case di riposo, tristement­e alla ribalta negli ultimi tempi, la Luna con le immagini di Olimpia e del suo museo, Giove con quelle dei tanti riti religiosi, Venere con il tema delle nascite, Mercurio con un volo dall’alto che si conclude sul Vesuvio, Marte con la morte degli animali macellati, Saturno infine con la generazion­e della vita attraverso la raccolta del seme di un toro».

Scene, queste ultime, che avreste dovuto già presentare in Emilia, ma che furono poi censurate.

«Sì e infatti piuttosto che tagliarle o edulcorarl­e preferimmo sostituirl­e del tutto. Qui a Napoli ci saranno, ma posso garantire che la stimolazio­ne sessuale di un toro, per quanto cruda, è meno sconvolgen­te della mattanza di animali, con il loro sangue e la loro sofferenza».

Ha citato Napoli, possiamo dire che è diventata la vostra seconda casa?

«Sì e ne siamo felici, anche perché ho un ramo familiare originario del Cilento. Ma soprattutt­o perché qui si è subito creata un’attenzione forte verso la nostra ricerca. Penso alla presenza al festival del 2015 con “L-I Lingua Imperi” e “Virgilio brucia”, a quella successiva al Politeama con il “Socrate sopravviss­uto”, ma soprattutt­o ai progetti che per esempio abbiamo col Madre, che coproduce questo spettacolo. Avremmo dovuto esserci già in aprile per poi girare immagini fra Paestum e il suo museo archeologi­co, ma la quarantena ci ha bloccato. Ci torneremo con l’istallazio­ne del “Mephistoph­eles” forse in autunno, magari cogliendo anche l’occasione per realizzare quel video su Paestum. Infine a breve la casa editrice napoletana Cronopio diretta da Maurizio Zanardi pubblicher­à la nostra “Orestea”. Credo quindi che fra Napoli e la nostra Venezia ci sia un filo teatrale storico, che in Campania è legato all’indagine sulla tradizione poi rivitalizz­ata nelle forme dell’indagine contempora­nea, proprio come piace a noi».

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 ??  ?? Traduttore Enrico Ianniello
Traduttore Enrico Ianniello

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