Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Mephistopheles a Palazzo Reale Il post-teatro del terzo millennio
Il gruppo Anagoor, fondato in Veneto 20 anni fa, porta il nome della città immaginaria di Dino Buzzati, un luogo di desiderio e attesa, proprio come il mondo attuale in progressiva consunzione ecologica, a cui sono rivolte le attenzioni del regista Simone Derai e compagni. Che stasera alle 21.30 nel Cortile d’onore di Palazzo Reale presenteranno in prima mondiale per il Napoli Teatro Festival il loro nuovo lavoro, «Mephistopheles eine Grand Tour », una video-istallazione con musica dal vivo che spinge sempre più la compagnia di Castelfranco verso la dimensione di un post-teatro del terzo millennio, figlio di artisti come Bill Viola, Peter Greenaway, Bob Wilson e Romeo Castellucci di Socìetas Raffaello Sanzio.
Derai è d’accordo con questa definizione?
«Sì, sono i nostri riferimenti principali anche se non amo le schematizzazioni. Ma il teatro è un’arte inclusiva che assorbe al suo interno tanti linguaggi, anche quando, come in questo caso, sarebbe meglio definire lo spettacolo un concerto per immagini. In cui avrà un ruolo fondamentale la musica elettronica eseguita dal vivo dal sound designer Mauro Martinuz, mentre sullo schermo fluiranno i frammenti di video, molti inediti, girati per altri titoli
” Napoli è la nostra seconda casa anche perché ho un ramo familiare originario del Cilento. Qui si è subito creata un’attenzio ne forte verso la nostra ricerca. Penso alla presenza nel 2015 con «L-I Lingua Imperi» e «Virgilio brucia»
come “Orestea” e “Faust”, che fra l’altro è il generatore di “Mephistopheles”. Ovvero l’offerta all’uomo di un mondo migliore ma effimero, di cui si pagano poi le conseguenze distruttive. Ma l’impianto resta drammaturgico e quindi teatrale, anche con un’introduzione attoriale ripresa da “Faust”».
Qual è il centro dell’opera e come l’avete strutturata?
«Viviamo in un mondo in cui lo squilibrio fra l’intervento umano e la natura è andato crescendo in modo probabilmente irreversibile, e il nostro sguardo prova a raccontare questa involuzione, a tratti in modo crudo a tratti finemente poetico. Quindi, ben prima del Covid, avevamo pensato a un lavoro senza attori in scena, che raccontasse il nostro “girato” di questi anni, che abbiamo strutturato in sette parti ovvero stelle e pianeti a ognuno dei quali legare un tema: il Sole con le case di riposo, tristemente alla ribalta negli ultimi tempi, la Luna con le immagini di Olimpia e del suo museo, Giove con quelle dei tanti riti religiosi, Venere con il tema delle nascite, Mercurio con un volo dall’alto che si conclude sul Vesuvio, Marte con la morte degli animali macellati, Saturno infine con la generazione della vita attraverso la raccolta del seme di un toro».
Scene, queste ultime, che avreste dovuto già presentare in Emilia, ma che furono poi censurate.
«Sì e infatti piuttosto che tagliarle o edulcorarle preferimmo sostituirle del tutto. Qui a Napoli ci saranno, ma posso garantire che la stimolazione sessuale di un toro, per quanto cruda, è meno sconvolgente della mattanza di animali, con il loro sangue e la loro sofferenza».
Ha citato Napoli, possiamo dire che è diventata la vostra seconda casa?
«Sì e ne siamo felici, anche perché ho un ramo familiare originario del Cilento. Ma soprattutto perché qui si è subito creata un’attenzione forte verso la nostra ricerca. Penso alla presenza al festival del 2015 con “L-I Lingua Imperi” e “Virgilio brucia”, a quella successiva al Politeama con il “Socrate sopravvissuto”, ma soprattutto ai progetti che per esempio abbiamo col Madre, che coproduce questo spettacolo. Avremmo dovuto esserci già in aprile per poi girare immagini fra Paestum e il suo museo archeologico, ma la quarantena ci ha bloccato. Ci torneremo con l’istallazione del “Mephistopheles” forse in autunno, magari cogliendo anche l’occasione per realizzare quel video su Paestum. Infine a breve la casa editrice napoletana Cronopio diretta da Maurizio Zanardi pubblicherà la nostra “Orestea”. Credo quindi che fra Napoli e la nostra Venezia ci sia un filo teatrale storico, che in Campania è legato all’indagine sulla tradizione poi rivitalizzata nelle forme dell’indagine contemporanea, proprio come piace a noi».