Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Zio Silvio
Una stagione che si è concretizzata anche in un rapporto diretto con il premier Conte e potrebbe addirittura sfociare in un voto salvifico per il governo quando arriverà il momento di decidere sul Mes, che i sovranisti Salvini e Meloni e buona parte dei Cinquestelle rifiutano, mentre il Cavaliere apprezza. Non ha nemmeno escluso di dare il suo sostegno in futuro a una diversa maggioranza di governo, se la crisi di quella attuale facesse rischiare elezioni anticipate.
Forse Berlusconi considera questa svolta anche come un tributo da pagare alla sua aspirazione di rientrare nel novero dei «padri della patria», in cui lo collocherebbe di diritto l’eccezionale durata della sua permanenza a Palazzo Chigi, magari con un riconoscimento pubblico in cui non ha mai smesso di sperare (e intorno a lui c’è chi lo istiga a non escludere niente, a poco più di un anno dal grande gioco del Quirinale). Oppure forse intende questo suo protagonismo come un modo di limitare lo strapotere di Salvini sul centrodestra, del resto decrescente nei sondaggi.
Oppure ancora Berlusconi punta come sempre nella sua carriera a proteggere le aziende, stabilendo un rapporto di do ut des con chi esercita il potere pro tempore.
Fatto sta che il momento sembrerebbe propizio per un «ritorno in campo» anche sulla scena elettorale. E le prime elezioni disponibili sono quelle regionali del prossimo settembre. E la scena più adatta sarebbe proprio la nostra regione, perché in nessuna, tra quelle in cui si vota dopo l’estate, il berlusconismo è stato in passato così radicato, così di successo, così popolare come in Campania.
La relazione speciale tra gli elettori campani e l’imprenditore milanese è stato uno dei grandi punti fermi e anche dei grandi misteri della Seconda Repubblica. Che cosa, dell’«uomo del fare» meneghino, seducesse una popolazione con tanti disoccupati e tanti poveri è difficile da capire. Se non una speranza per così dire «monarchica» in un nuovo uomo della Provvidenza, che prendesse personalmente a cuore la sorte dei più deboli, in un afflato paternalistico sostenuto dall’assistenza pubblica. Al netto di una certa carica ribellistica che nel voto meridionale c’è sempre stata, non appaia blasfemo affermare che la fiducia di recente riposta al Sud in chi prometteva il reddito di cittadinanza per tutti non sia poi molto diversa da quella che si riversò sulla promessa di «meno tasse e il sole in tasca per tutti» avanzata ai suoi tempi dal Cavaliere.
Si capisce dunque che in Forza Italia ci sia chi spera nel colpaccio: una candidatura come capolista alle elezioni regionali di Silvio Berlusconi. Sarebbe anche un aiuto alla performance di Caldoro, che al momento parte battuto da De Luca.
Non sappiamo quanti voti Berlusconi sia ancora capace di mobilitare nella nostra regione, ma di certo sarebbero molti di più di quelli in cui Forza Italia può sperare senza la candidatura di Berlusconi. Eppure, a parte la fattibilità del progetto (dubito che il Cavaliere voglia rischiare una verifica della sua residua popolarità su una competizione in definitiva locale nella quale i rischi sono maggiori dei vantaggi, e dubito che accetterebbe di fare la parte di chi promette di occuparsi della Campania e poi dove il voto sparisce perché non può certo fare il consigliere a Santa Lucia), credo che in definitiva non sarebbe una buona cosa per Forza Italia. Insomma, la Campania è l’unico posto, fatta eccezione un po’ per la Lombardia, dove questo partito ha ancora una consistenza potenziale notevole, in cui potrebbe giocare un ruolo di primo piano, e infatti si è battuto per poter scegliere il candidato governatore e ha ottenuto Caldoro. Ma ricorrendo per l’ennesima volta a Berlusconi la dirigenza locale rischierebbe invece di dimostrare che senza di lui nulla era e nulla è rimasta dopo tutti questi anni.
Un partito che, privato dei voti di Cosentino prima e dei Cesaro oggi, ha paura di affrontare la competizione elettorale dovrebbe infatti farsi un esame di coscienza e rifondarsi. Un partito regionale che esprime dirigenti nazionali come Carfagna e dirigenti storici come Martusciello, e che non si fida dei voti che riuscirebbero a racimolare, è un partito da cambiare dalle fondamenta. Ha avuto ragione Enzo D’Errico nello sfidare su questo giornale Caldoro a prendere atto di questa realtà e a provare di trasformare la possibile e anzi probabile sconfitta in una onorevole occasione di rinascita dello spirito originario di una forza conservatrice, liberale, europeista, di cui il centrodestra italiano continua ad avere un gran bisogno, soprattutto se un giorno dovesse davvero tornare a governare l’Italia. Gente nuova, facce fresche, giovani, professionisti, imprenditori, al posto dei Cesaro e dei ras locali. Caldoro usi la sua faccia pulita per smacchiare il giaguaro, invece che per nasconderne le macchie. La candidatura di Berlusconi farebbe solo da foglia di fico di una debolezza storica, e da parafulmine di un’eventuale sconfitta. Se davvero Forza Italia in Campania esiste ancora, se non è solo l’accozzaglia di famiglie elettorali senza leader e di leaderini senza famiglie elettorali, questo è il momento di battere un colpo. Invece di chiedere sempre aiuto a zio Silvio.