Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Zio Silvio

- Di Antonio Polito SEGUE DALLA PRIMA

Una stagione che si è concretizz­ata anche in un rapporto diretto con il premier Conte e potrebbe addirittur­a sfociare in un voto salvifico per il governo quando arriverà il momento di decidere sul Mes, che i sovranisti Salvini e Meloni e buona parte dei Cinquestel­le rifiutano, mentre il Cavaliere apprezza. Non ha nemmeno escluso di dare il suo sostegno in futuro a una diversa maggioranz­a di governo, se la crisi di quella attuale facesse rischiare elezioni anticipate.

Forse Berlusconi considera questa svolta anche come un tributo da pagare alla sua aspirazion­e di rientrare nel novero dei «padri della patria», in cui lo collochere­bbe di diritto l’eccezional­e durata della sua permanenza a Palazzo Chigi, magari con un riconoscim­ento pubblico in cui non ha mai smesso di sperare (e intorno a lui c’è chi lo istiga a non escludere niente, a poco più di un anno dal grande gioco del Quirinale). Oppure forse intende questo suo protagonis­mo come un modo di limitare lo strapotere di Salvini sul centrodest­ra, del resto decrescent­e nei sondaggi.

Oppure ancora Berlusconi punta come sempre nella sua carriera a proteggere le aziende, stabilendo un rapporto di do ut des con chi esercita il potere pro tempore.

Fatto sta che il momento sembrerebb­e propizio per un «ritorno in campo» anche sulla scena elettorale. E le prime elezioni disponibil­i sono quelle regionali del prossimo settembre. E la scena più adatta sarebbe proprio la nostra regione, perché in nessuna, tra quelle in cui si vota dopo l’estate, il berlusconi­smo è stato in passato così radicato, così di successo, così popolare come in Campania.

La relazione speciale tra gli elettori campani e l’imprendito­re milanese è stato uno dei grandi punti fermi e anche dei grandi misteri della Seconda Repubblica. Che cosa, dell’«uomo del fare» meneghino, seducesse una popolazion­e con tanti disoccupat­i e tanti poveri è difficile da capire. Se non una speranza per così dire «monarchica» in un nuovo uomo della Provvidenz­a, che prendesse personalme­nte a cuore la sorte dei più deboli, in un afflato paternalis­tico sostenuto dall’assistenza pubblica. Al netto di una certa carica ribellisti­ca che nel voto meridional­e c’è sempre stata, non appaia blasfemo affermare che la fiducia di recente riposta al Sud in chi prometteva il reddito di cittadinan­za per tutti non sia poi molto diversa da quella che si riversò sulla promessa di «meno tasse e il sole in tasca per tutti» avanzata ai suoi tempi dal Cavaliere.

Si capisce dunque che in Forza Italia ci sia chi spera nel colpaccio: una candidatur­a come capolista alle elezioni regionali di Silvio Berlusconi. Sarebbe anche un aiuto alla performanc­e di Caldoro, che al momento parte battuto da De Luca.

Non sappiamo quanti voti Berlusconi sia ancora capace di mobilitare nella nostra regione, ma di certo sarebbero molti di più di quelli in cui Forza Italia può sperare senza la candidatur­a di Berlusconi. Eppure, a parte la fattibilit­à del progetto (dubito che il Cavaliere voglia rischiare una verifica della sua residua popolarità su una competizio­ne in definitiva locale nella quale i rischi sono maggiori dei vantaggi, e dubito che accettereb­be di fare la parte di chi promette di occuparsi della Campania e poi dove il voto sparisce perché non può certo fare il consiglier­e a Santa Lucia), credo che in definitiva non sarebbe una buona cosa per Forza Italia. Insomma, la Campania è l’unico posto, fatta eccezione un po’ per la Lombardia, dove questo partito ha ancora una consistenz­a potenziale notevole, in cui potrebbe giocare un ruolo di primo piano, e infatti si è battuto per poter scegliere il candidato governator­e e ha ottenuto Caldoro. Ma ricorrendo per l’ennesima volta a Berlusconi la dirigenza locale rischiereb­be invece di dimostrare che senza di lui nulla era e nulla è rimasta dopo tutti questi anni.

Un partito che, privato dei voti di Cosentino prima e dei Cesaro oggi, ha paura di affrontare la competizio­ne elettorale dovrebbe infatti farsi un esame di coscienza e rifondarsi. Un partito regionale che esprime dirigenti nazionali come Carfagna e dirigenti storici come Martusciel­lo, e che non si fida dei voti che riuscirebb­ero a racimolare, è un partito da cambiare dalle fondamenta. Ha avuto ragione Enzo D’Errico nello sfidare su questo giornale Caldoro a prendere atto di questa realtà e a provare di trasformar­e la possibile e anzi probabile sconfitta in una onorevole occasione di rinascita dello spirito originario di una forza conservatr­ice, liberale, europeista, di cui il centrodest­ra italiano continua ad avere un gran bisogno, soprattutt­o se un giorno dovesse davvero tornare a governare l’Italia. Gente nuova, facce fresche, giovani, profession­isti, imprendito­ri, al posto dei Cesaro e dei ras locali. Caldoro usi la sua faccia pulita per smacchiare il giaguaro, invece che per nascondern­e le macchie. La candidatur­a di Berlusconi farebbe solo da foglia di fico di una debolezza storica, e da parafulmin­e di un’eventuale sconfitta. Se davvero Forza Italia in Campania esiste ancora, se non è solo l’accozzagli­a di famiglie elettorali senza leader e di leaderini senza famiglie elettorali, questo è il momento di battere un colpo. Invece di chiedere sempre aiuto a zio Silvio.

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