Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Lei, lui e l’altro Il monologo per dirlo
Lei ha deciso nel giro di minuti. Dovendoglielo confessare è preferibile che succeda qui, in pubblico: in questa steakhouse dagli arredi rusticani e western, con la porta va-evieni da saloon. A casa potrebbe succedere di tutto. Lui invece osserva quasi sempre un certo contegno davanti agli altri, tranne alcune sfuriate sul lavoro giustificabili per varie ragioni. Dunque meglio che lei entri nei particolati qui, alla steak-house.
Dalla gravità con la quale lo implorato di uscire, lui ha intuito che questa sarà una serata di rivelazioni poco confortanti. I cinque minuti di auto, in un silenzio di piombo, sono parsi a entrambi interminabili. Perciò, da quando si sono accomodati, lui non ha fatto altro che sminuzzare grissini e cacciarsene le briciole in bocca. Le sgranocchia e gli sembrano tanti grumi di sale. Lo sguardo compassionevole e intimorito di lei lo irrita. Anche la spensieratezza dei giovani avventori nelle tavolate vicine lo infastidisce: sono pulsionali, impertinenti hanno solo l’immeritata, disgustosa fortuna dell’età.
Così lei si fa forza. All’inizio è come spingere un masso. Poi il racconto prende una sua forza d’inerzia, rotola per proprio conto senza sforzo, una liberazione.
Gli ho dato il numero, mi ha telefonato, ci siamo incontrati la sera dopo. Che senso avrebbe avuto rimandare? A un certo punto del gioco o si lascia e si dice: abbiamo scherzato. O si va a «vedere», come al poker. Capisci se c’è un bluff in atto oppure no. Da ragazza mi piaceva giocare a poker, all in. Tutto o niente. Così ho deciso di sedermi a quel tavolo. Il tavolo di una cucina, a casa sua. Per meglio dire: della sua famiglia. Mi ha invitata una sera a mangiare qualcosa, sapeva che nessuno ci avrebbe disturbati. I suoi genitori hanno un appoggio sul litorale domiziano, sarebbero stati via alcuni giorni. Le sorelle avrebbero passato la notte fuori, coi rispettivi fidanzati. È una casa di gente normale, non particolarmente acculturata ma che si vuole bene. Lui? Meno bravo delle sorelle. Con la scuola ha smesso alle superiori, se lo rimprovera sempre. Non che sia una testa vuota. Forse l’hanno viziato madre e sorelle, troppe donne... Lo, del quadretto familiare non sai che fartene. È per parlare di lui, di che tipo è. Ha questo sogno della musica, ma non sa bene come orientarsi. Dovrebbe imparare a leggerla, non bastano quei quattro accordi con la chitarra elettrica. La sua l’ha assemblata da solo: una dodici corde. In quello è bravo. Ha una manualità innata, l’ha presa dal padre. Mi ha anche fatto vedere una foto del padre alla sua età: identici. Dovrebbe essere la cosa più naturale di questo mondo, l’impronta genetica. Eppure mi ha commossa. Suo padre è pazzo della moglie, sembrano ancora due innamoratini, anche se vanno per i sessanta. Cosa fa, il ragazzo? Da quello che so lavoricchia sotto padrone, rigorosamente in nero. Tubista, idraulico, elettricista perfino. Non è uno di pensiero. Deve avere a che fare con le cose, verificare come funzionano, maneggiare, esplorare... No, che dici? Non voglio svicolare. È per farti capire che lui non ha niente a che fare con te, probabilmente neanche con me. È un altro mondo, per certi aspetti è come un bambino. Ha questo ego fragile da moccioso narcisista, se vuoi. Certo: vuoi i fatti, hai ragione, siamo qua per questo. Appena arrivata a casa sua, il ragazzo si è messo subito ai fornelli: voleva preparami una pasta. Abbiamo bevuto un calice di bianco, mi ha fatto bene. Era teso soprattutto lui, il vino gli ha un po’ sciolto la lingua. Cucinava e, intanto, mi faceva una testa di chiacchiere parlando di sé. È un vanitoso, lo vedi subito da certe foto che pubblica su Instagram.
Con me ha avuto l’intelligenza di non proporsi come un figo, un montato: avrebbe fatto poca strada. Sai invece cosa mi è piaciuto? Mi ha raccontato le sue sconfitte. Una strategia per intenerirmi, per rendermi più malleabile? Può essere. Io, però, ho avuto l’impressione che non volesse cominciare barando. Ha messo le carte in tavola: «ho avuto un amore e mezzo, fino a un anno fa». Il mezzo amore, l’ultimo, è stato con una ragazza russa. Ventidue anni, una sua coetanea in Italia con un programma di studi. A un certo punto, figurati, è andato di là a prendere le foto di lei. Ne era innamorato in questa maniera scoperta, ingenua quasi. Inevitabilmente gli ho chiesto perché fosse finita. Sai che mi ha risposto? Perché lui era diventato troppo tenero. La russa gli ha rinfacciato che non la sbatteva più al muro. La sera quando lei ha voluto chiudere, lui è tornato da Montesanto fin qui a piedi. Dieci chilometri di notte, sperando che fosse tutto un brutto sogno. Io come ho commentato? Cosa vuoi che ti dica? Questi romanticismi manco mi ricordavo più che esistessero. Fino a un anno fa rimorchiavo in discoteca o su Tinder, il venerdì e il sabato. Non ho detto nulla, mi ha fatto tenerezza. A quel punto una sorride e pensa, come davanti a un calice di vino: un buon inizio, ha delle potenzialità. Adesso non ti agitare, ti prego. Ti prego: stanno guardando. Sono collaborativa, mi sembra che sto rispondendo a tutto, nei limiti. E comunque sì, certo: sa che esisti, gli ho parlato di te. Perché essere disonesta quando l’altro è onesto? Gli ho detto che ho in corso una relazione importante, con un uomo più grande che ha una posizione sociale importante. Lui ha cercato di parare il colpo, di farsi coraggio a modo suo. Qualche battutina sulla differenza d’età, per sminuirti. L’ho stroncato subito: gli ho detto che sono assolutamente soddisfatta di te come amante. Gli ho accennato che non sono facile da accontentare e che tu ci riesci. È stato un pugno nello stomaco per lui, immagino. Però non si è lasciato smontare. Forse un maschio più grande si sarebbe demoralizzato. I giovani sono diversi, forse sapere poco aiuta. Non gliel’ho detto che viviamo in due case diverse, però: mi sarebbe sembrato di incoraggiarlo. È meglio che ti sappia presente, che non si metta in mente strane idee. No, figurati se gli ho rivelato chi sei, come ti chiami. I nomi sono un fatto intimo. A te però il suo nome l’ho detto. E sai perché? Perché tu lo meriti. Tu sei diverso da chiunque altro. Tu sei quello che mi ucciderà, non è vero? Però se devi, fallo nel sonno, quando dormo. Non metterti a ridere: il mio sogno è sempre stato questo. Morire così. Passare da un sonno all’altro. Soffrire il minimo indispensabile. Quello che c’è dopo, in un modo o nell’altro non mi deluderà.
Perché essere disonesta quando l’altro è onesto? Gli ho detto che ho in corso una relazione importante, con un uomo più grande che ha una posizione sociale importante Lui ha cercato di parare il colpo, di farsi coraggio a modo suo