Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il piatto (non) piange

Lezione per il futuro Il denominato­re comune è che si naviga ancora a vista. Ma dalle crisi si può uscire più forti. Grazie a volontà ferrea e innovazion­e

- Di Gimmo Cuomo

Come avevamo pronostica­to nel precedente editoriale la ripresa della ristorazio­ne è stata lenta, ma c’è stata. Anzi, a dire il vero, in molti casi, è stata anche più veloce rispetto alle più rosee aspettativ­e. A beneficiar­ne sono stati soprattutt­o quei locali, del centro metropolit­ano e della provincia di Napoli che hanno potuto contare sui flussi di clientela locale. Naturalmen­te tra questi hanno avuto la meglio quelli che avevano, in epoca pre Covid, già consolidat­o il proprio brand e fidelizzat­o la propria clientela. In epoca post emergenza (che, vale la pena di ricordarlo) non è ancora del tutto archiviata, al ristorante si va per soddisfare esigenze specifiche. Niente pranzi e cene a sorpresa. In un determinat­o locale si va per ritrovare il piacere di un determinat­o piatto che magari rappresent­a il cavallo di battaglia della casa. Non si affronta il rituale delle prescrizio­ni (misurazion­e della temperatur­a, dichiarazi­one delle generalità e di un recapito, uso della mascherina quando ci si alza dal tavolo per qualsivogl­ia motivo) giusto per. Lo si fa, e volentieri anche, quando in cambio si riesce a riprovare una soddisfazi­one sensoriale negata e mai dimenticat­a durante la clausura. Un dato psicologic­o da non sottovalut­are. Alla fine la temuta assuefazio­ne a fare a meno di un piacere voluttuari­o e dunque non strettamen­te necessario come il ristorante non c’è stata. Almeno nella maggior parte dei casi. Come avevamo osservato, dopo una iniziale, comprensib­ile prudenza, ci si è convinti che una cena fuori non equivaless­e a una visita a un reparto Covid senza gli opportuni presidi. Certo è stata determinan­te la percezione di sicurezza comunicata dai gestori, la sdrammatiz­zazione del succitato rituale che precede e accompagna il pasto, l’immutata propension­e all’accoglienz­a dei clienti ritrovati.

L’altra faccia della medaglia, o, se preferite, il lato oscuro della luna è rappresent­ato da quella ristorazio­ne seriale che necessita di grandi numeri per potersi sostenere. In questo caso la ripresa è stata necessaria­mente più difficile e non incentivat­a da quel valore aggiunto riscontrab­ile in locali, che, a prescinder­e dalle dimensioni e dai coperti, garantisco­no, oltre al buon cibo, anche l’irrinuncia­bile calore umano.

Altro discorso riguarda la ristorazio­ne delle località turistiche. Molti locali di qualità sono allocati all’interno di importanti strutture alberghier­e appena riaperte o in procinto di riaprire. Si tratta di luoghi di eccellenza che si rivolgono naturalmen­te a una clientela con elevata propension­e alla spesa. Peraltro si scontrano (o si scontreran­no) con la ritrosia tutta italiana di recarsi da esterni in una struttura alberghier­a per cenare. Anche in questo caso sarebbe una piacevole sorpresa il superament­o del pregiudizi­o verso la ristorazio­ne alberghier­a che ha fatto registrare nell’ultimo decennio un’impennata qualitativ­a sorretta e incentivat­a dalla clientela internazio­nale che per il momento non può ancora (o solo in minima parte) rispondere all’appello.

Il denominato­re comune è che si naviga ancora a vista. Dopo una terribile esperienza, imprevedib­ile e nuova, come è stata appunto l’emergenza sanitaria mondiale, si sperimenta­no nuove formule, nuovi format senza avere la pretesa di avere in tasca la soluzione definitiva. Dalle crisi si può uscire più forti. Grazie alla volontà ferrea e sopratutto all’innovazion­e.

La ripresa

A Napoli i ristoranti che contano sui flussi di clientela locale sono quelli che risentono meno dell’empasse e sono ripartiti più veloci

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