Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Siamo tutti chef e sommelier ma sui social
Nessuno resiste alla tentazione di raccontare quello che mangia postando foto su Facebook Il risultato però lascia spesso molto a desiderare e a venir meno è un vero e proprio galateo
La situazione è sfuggita di mano a tutti. Nessuno, o quasi, resiste alla tentazione di raccontare il cibo sui social. Con risultati spesso grevi e finanche ridicoli. Di certo ben lontani dalle intenzioni originarie di chi posta un piatto o un selfie.
In genere si utilizza il cibo per raccontarsi come bon vivant, intenditori di piatti sofisticati, vini di rango, viaggiatori alla ricerca di sapori nuovi o per apparire come appassionati di cucina, capaci di cimentarsi ai fornelli con ingredienti insoliti e dare vita a piatti sorprendenti. Spesso però non c’è sostanza dietro una forma che è comunque sfilacciata.
Gli apprendisti cuochi
Quelli che si sentono chef e raccontano delle loro (presunte) prodezze culinarie in estenuanti storie su Instagram spadellano, svelano i segreti di uno spaghetto perfetto e si presentano in grembiuloni fantasia. Fanno abuso di immagini rallentate, che amplificano gesti banali, e si abbandonano al racconto accelerato per enfatizzare la preparazione di un banchetto che non sarà mai realmente servito. Il bluff è dietro l’angolo. Capesante (due) e gamberoni (tre) sono spesso solo uno spunto narrativo per rendersi più interessanti ad occhi di amici e colleghi. Un modo per pavoneggiarsi, raccontare di mirabolanti avventure e intrecciare surreali conversazioni con quelli che commentano il post. «Che meraviglia!”», «Stupendo!», «Bravissimo!», «Quando ci inviti?».
I critici gastronomici
Ci sono poi i presunti esperti, aspiranti critici gastronomici che, sui social, postano foto di piatti che spacciano per pietanze gourmet. Sono in realtà specialità di trattorie fuori porta dove si abusa di fondine gigantesche e colorate che suggeriscono impiattamenti fantasiosi. Tutte cose che non cambiano il senso di un menu gustoso ma ordinario, che varrebbe la pena di mangiare più che di fotografare.
Gli enologi
Ci sono poi gli apprendisti enologi, che si danno da fare a pubblicare scorci di calici dietro i quali fanno capolino etichette diverse.
Nulla conferma che in realtà stanno bevendo proprio quel vino, ma la suggestione resta forte. Ovviamente questi signori e molte signorine si producono in ripetute immagini scattate nel corso dei saloni del vino, con il sacchetto portacalice al collo e un’aria ebbra. I più audaci in autunno produrranno foto fra i filari di viti, immagini scattate durante una fugace sosta — sulla via del mare — presso un contadino dal quale hanno comprato vino sfuso, pane cotto a legna e frutta.
Food Porn
Un’indagine Doxa ha svelato che sette italiani su dieci condividono foto scattate al ristorante: immagini del piatto o selfie all’interno del locale. Intanto il cibo si fredda e il vino si riscalda. Il 51 per cento degli avventori scatta
Quelli che si sentono chef e si esaltano in prodezze culinarie; quelli che aspirano alla critica gastronomica; quelli che si selfano col calice di vino
una foto del piatto prima di assaggiarlo, il 28 esagera con i selfie che raggruppano tutti i commensali riuniti intorno al tavolo, il 21 si dedica a realizzare immagini degli interni del ristorante per far sapere ad amici, conoscenti e colleghi dove si è passata la serata. La parola chiave è #foodporn, che rimanda a quasi 100 milioni di risultati che spesso fanno sobbalzare gli chef. Anche Alessandro Borghese, social e televisivo, ha più volte sottolineato che la tendenza ad abusare di scatti distrugge piatti pensati per essere consumati in tempi ben precisi. Certamente non freddi. Il termine «food porn» è stato usato per la prima volta dalla critica Rosalind Cowards nel 1984 nel suo libro «Female Desire», in cui definisce «cibo pornografico» quello cucinato e presentato in modo esteticamente impeccabile. Insomma, un cibo da mangiare con gli occhi.
Netiquette
Ma come è noto è a tavola che si riconosce il signore e proprio sul cibo, in dimensione social, non si contano le cadute di stile.
Come in ogni ambito esiste un galateo, in questo caso una netiquette che garantisce le buone pratiche per la convivenza sul web. Fare gli sboroni sul cibo non è mai una buona idea. Vantarsi di una pantagruelica mangiata di ostriche, con tanto di foto, suggerisce solo che non siete avvezzi a questo cibo. Farvi fotografare mentre impastate acqua e farina non farà pensare ai vostri follower che siete cuochi sopraffini, ma solo tipi alla ricerca di attenzione e di una immagine simpatica.
Partendo dal principio che sbandierare immagini di cibo senza particolari motivi potrebbe essere poco elegante, se proprio ci tenete a suggerire qualcosa che sia legato alla tavola concentratevi sui particolari. Il fumo che esce da una tazzina di caffé e, sullo sfondo, una crostata; uno sbuffo di farina che cela per metà un sorriso; una foto ricordo scattata senza riferimenti in un ristorante, ma con un particolare rilevatore sullo sfondo. Se proprio ci tenete, datevi da fare con un po’ di stile e fantasia.