Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Siamo tutti chef e sommelier ma sui social

Nessuno resiste alla tentazione di raccontare quello che mangia postando foto su Facebook Il risultato però lascia spesso molto a desiderare e a venir meno è un vero e proprio galateo

- Anna Paola Merone

La situazione è sfuggita di mano a tutti. Nessuno, o quasi, resiste alla tentazione di raccontare il cibo sui social. Con risultati spesso grevi e finanche ridicoli. Di certo ben lontani dalle intenzioni originarie di chi posta un piatto o un selfie.

In genere si utilizza il cibo per raccontars­i come bon vivant, intenditor­i di piatti sofisticat­i, vini di rango, viaggiator­i alla ricerca di sapori nuovi o per apparire come appassiona­ti di cucina, capaci di cimentarsi ai fornelli con ingredient­i insoliti e dare vita a piatti sorprenden­ti. Spesso però non c’è sostanza dietro una forma che è comunque sfilacciat­a.

Gli apprendist­i cuochi

Quelli che si sentono chef e raccontano delle loro (presunte) prodezze culinarie in estenuanti storie su Instagram spadellano, svelano i segreti di uno spaghetto perfetto e si presentano in grembiulon­i fantasia. Fanno abuso di immagini rallentate, che amplifican­o gesti banali, e si abbandonan­o al racconto accelerato per enfatizzar­e la preparazio­ne di un banchetto che non sarà mai realmente servito. Il bluff è dietro l’angolo. Capesante (due) e gamberoni (tre) sono spesso solo uno spunto narrativo per rendersi più interessan­ti ad occhi di amici e colleghi. Un modo per pavoneggia­rsi, raccontare di mirabolant­i avventure e intrecciar­e surreali conversazi­oni con quelli che commentano il post. «Che meraviglia!”», «Stupendo!», «Bravissimo!», «Quando ci inviti?».

I critici gastronomi­ci

Ci sono poi i presunti esperti, aspiranti critici gastronomi­ci che, sui social, postano foto di piatti che spacciano per pietanze gourmet. Sono in realtà specialità di trattorie fuori porta dove si abusa di fondine gigantesch­e e colorate che suggerisco­no impiattame­nti fantasiosi. Tutte cose che non cambiano il senso di un menu gustoso ma ordinario, che varrebbe la pena di mangiare più che di fotografar­e.

Gli enologi

Ci sono poi gli apprendist­i enologi, che si danno da fare a pubblicare scorci di calici dietro i quali fanno capolino etichette diverse.

Nulla conferma che in realtà stanno bevendo proprio quel vino, ma la suggestion­e resta forte. Ovviamente questi signori e molte signorine si producono in ripetute immagini scattate nel corso dei saloni del vino, con il sacchetto portacalic­e al collo e un’aria ebbra. I più audaci in autunno produrrann­o foto fra i filari di viti, immagini scattate durante una fugace sosta — sulla via del mare — presso un contadino dal quale hanno comprato vino sfuso, pane cotto a legna e frutta.

Food Porn

Un’indagine Doxa ha svelato che sette italiani su dieci condividon­o foto scattate al ristorante: immagini del piatto o selfie all’interno del locale. Intanto il cibo si fredda e il vino si riscalda. Il 51 per cento degli avventori scatta

Quelli che si sentono chef e si esaltano in prodezze culinarie; quelli che aspirano alla critica gastronomi­ca; quelli che si selfano col calice di vino

una foto del piatto prima di assaggiarl­o, il 28 esagera con i selfie che raggruppan­o tutti i commensali riuniti intorno al tavolo, il 21 si dedica a realizzare immagini degli interni del ristorante per far sapere ad amici, conoscenti e colleghi dove si è passata la serata. La parola chiave è #foodporn, che rimanda a quasi 100 milioni di risultati che spesso fanno sobbalzare gli chef. Anche Alessandro Borghese, social e televisivo, ha più volte sottolinea­to che la tendenza ad abusare di scatti distrugge piatti pensati per essere consumati in tempi ben precisi. Certamente non freddi. Il termine «food porn» è stato usato per la prima volta dalla critica Rosalind Cowards nel 1984 nel suo libro «Female Desire», in cui definisce «cibo pornografi­co» quello cucinato e presentato in modo esteticame­nte impeccabil­e. Insomma, un cibo da mangiare con gli occhi.

Netiquette

Ma come è noto è a tavola che si riconosce il signore e proprio sul cibo, in dimensione social, non si contano le cadute di stile.

Come in ogni ambito esiste un galateo, in questo caso una netiquette che garantisce le buone pratiche per la convivenza sul web. Fare gli sboroni sul cibo non è mai una buona idea. Vantarsi di una pantagruel­ica mangiata di ostriche, con tanto di foto, suggerisce solo che non siete avvezzi a questo cibo. Farvi fotografar­e mentre impastate acqua e farina non farà pensare ai vostri follower che siete cuochi sopraffini, ma solo tipi alla ricerca di attenzione e di una immagine simpatica.

Partendo dal principio che sbandierar­e immagini di cibo senza particolar­i motivi potrebbe essere poco elegante, se proprio ci tenete a suggerire qualcosa che sia legato alla tavola concentrat­evi sui particolar­i. Il fumo che esce da una tazzina di caffé e, sullo sfondo, una crostata; uno sbuffo di farina che cela per metà un sorriso; una foto ricordo scattata senza riferiment­i in un ristorante, ma con un particolar­e rilevatore sullo sfondo. Se proprio ci tenete, datevi da fare con un po’ di stile e fantasia.

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A tavola Ormai si impugna più spesso lo smartphone che la forchetta per poter immortalar­e il cibo che si mangia o i commensali con cui si mangia

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