Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quelle trivelle nella caldera «Evoluzione imprevedibile»
L’Osservatorio scrive alla Protezione civile: «Nessuno ci ha mai avvertiti di quello scavo»
Un pasticcio. Un’operazione di scavo di un pozzo condotta in una delle aree vulcaniche più pericolose al mondo senza che l’Osservatorio vesuviano ne fosse stato messo a conoscenza. La contestata perforazione nell’ambito del progetto Geogrid in via Antiniana 34, poi sospesa dopo le proteste dei residenti con un’ordinanza del sindaco di Pozzuoli, continua a destare meraviglia.
Un pasticcio. Un’operazione di scavo di un pozzo condotta in una delle aree vulcaniche più pericolose al mondo senza che l’Osservatorio vesuviano ne fosse stato messo a conoscenza. La contestata perforazione nell’ambito del progetto Geogrid in via Antiniana 34, poi sospesa dopo le proteste dei residenti con un’ordinanza del sindaco di Pozzuoli Vincenzo Figliola, continua a destare meraviglia per la procedura seguita. Sul caso il Movimento 5 stelle ha aperto un fronte polemico in Regione attraverso la consigliera Maria Muscarà e ha inviato un esposto in Procura chiedendo chiarezza.
Al di là delle schermaglie politiche inquieta ciò che è riportato sugli atti ufficiali. In particolare nella relazione di 118 pagine (compresi gli allegati) firmata dalla direttrice dell’Osservatorio Vesuviano Francesca Bianco e trasmessa al capo della Protezione civile nazionale Angelo Borrelli, a quello della Protezione civile regionale Italo Giulivo, al presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia Carlo Doglioni e al sindaco di Pozzuoli. Da quella relazione di cui è in possesso il Corriere del Mezzogiorno si evincono una serie di fatti inquietanti. Vale la pena ricostruirli in dettaglio.
L’8 giugno scorso, a partire dalle 13, scattò una emergenza nella sala controllo dell’Osservatorio perché si registrarono nei Campi Flegrei una serie di segnali anomali sulla rete siverificare smica (ma di chiara origine non naturale) fino alle 15,50. I tremori cessarono per riprendere la mattina successiva dalle 5,55 fino alle 13,10. Cosa li aveva provocati? «Nella tarda serata dell’8 giugno — scrive la direttrice Bianco — la nostra sala di monitoraggio ha ricevuto segnalazioni di anomale emissioni fumaroliche provenienti da un’area a qualche centinaio di metri da via Pisciarelli». La mattina del giorno seguente l’Osservatorio invia sul posto un vulcanologo/ geochimico per capire cosa stia accadendo. Il vulcanologo nota subito l’«anomala emissione fumarolica» e l’esistenza di un cantiere finalizzato alla perforazione per realizzare un pozzo geotermico nell’ambito del progetto Geogrid.
Chiarisce Bianco: «L’istituto non era stato informato né della data d’inizio della perforazione né tantomeno dell’area dove questa veniva effettuata.
L’attività sembrerebbe far capo alla società Graded». Continua il report dell”Osservatorio: «La perforazione ha creato una nuova emissione di fluidi con un getto fumarolico alto qualche decina di metri che si estende verso la conca di Agnano. Cittadini spaventati ci informavano che il neonato flusso non accennava a diminuire».
L’Osservatorio il giorno 11 scrive al sindaco Figliolia chiedendo di accedere al cantiere «per effettuare misure urgenti sulla fumarola per caratterizzarne o scongiurarne l’eventuale pericolosità». Passano altre 24 ore e il giorno 12 giugno la squadra operativa di geochimici di Ov-Ingv si reca sul cantiere per effettuare le misure. E qui si verifica un’altra anomalia non meno grave della mancata informazione lamentata dall’Osservatorio. «Ai geochimici veniva impedito l’accesso — scrive Bianco — da parte dei rappresentanti del progetto Geogrid presenti sul luogo». Inutilmente i ricercatori insistono per entrare e verificare. Probabilmente i toni si fanno accesi ma dal cantiere sono irremovibili: non si entra. Insomma, quattro giorni dopo l’avvio di una perforazione in una delle caldere vulcaniche più popolate e pericolose della terra, i vulcanologi non possono eseguire i rilievi per comprendere se ci sia una situazione di imminente pericolo. Bisognerà attendere altre 24 ore quando, il 13 giugno, accompagnati dai vigili urbani di Pozzuoli, e dallo stesso sindaco che ha firmato un’apposita ordinanza, le squadre degli esperti riescono finalmente a entrare nel cantiere per i primi rilievi. Sono ormai trascorse 120 ore dallo scavo del pozzo che intanto ha raggiunto gli 88 metri di profondità. Cinque giorni possono rappresentare un lasso di tempo enorme per una presunta anomalia in un territorio in stato di unreast (agitazione) come i Campi Flegrei. Eppure è quello che accade.
Vengono comunque effettuati accurati prelievi di vapore, gas condensati, materiali emessi. Mentre «durante la fase di prelievo si avvertiva distintamente — continua il report — l’emissione periodica di una fase liquida che ricadeva sugli operatori sottostanti». I risultati delle analisi per fortuna non hanno mostrato significative alterazioni delle emissioni dei fluidi anche se, viene chiarito, «l’emissione della fase liquida ricca di cloruro, solfato e sodio, sembra stia aumentando nel tempo, ma occorrerebbero ulteriori mirate indagini per confermarlo».
Per quanto riguarda la valutazione dei rischi delle perforazioni in quell’area l’Osservatorio allega uno studio appositamente effettuato già nel 2018 per il progetto Scarfoglio che aveva caratteristiche ben più invasive dell’attuale pozzo. In ogni caso gli scienziati esprimevano preoccupazione sia per la difficoltà di distinguere i segnali naturali da quelli dell’attività umana, sia per l’«incidenza sul livello di pericolosità dell’area». Inoltre l’Osservatorio chiarisce altri due aspetti importanti che non lasciano proprio tranquillissimi. Il primo: «Informazioni stratigrafiche rivelano una probabile presenza di lave a una profondità di 30/40 metri». Il secondo: «L’evoluzione del processo attuale non è facilmente prevedibile. Non può essere escluso che il perdurare dell’emissione incontrollata di fluidi potrebbe portare all’estensione dell’area interessata». E, infine, la natura stessa del sito dove esiste una spinta idrotermale e un processo di degassamento ben visibile, «potrebbe rappresentare una difficoltà non secondaria nelle future azioni di controllo dell’emissione». Insomma, uno scenario tutto da decifrare. La patata bollente passa ora alla Commissione Grandi rischi.