Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Madre, l’arte di «imparare a giocare»

Nel museo l’installazi­one-evento dell’artista nigeriana Temitayo Ogunbiyi

- di Stefano de Stefano

Da oggi l’attività di Madre Factory 2020, programma di inclusione attraverso l’arte ideato dalla presidente della Fondazione Donnaregin­a Laura Valente, si arricchisc­e di un altro importante tassello. Ovvero l’istallazio­neevento «Giocherai nel quotidiano, correndo/You will play in the everyday, running» dell’artista nigeriana Temitayo Ogunbiyi, commission­ato durante il lockdown e curato dalla direttrice artistica del museo Kathryn Weir.

Ispirandos­i alle tecniche di acconciatu­ra nigeriane e all’itinerario che Google Maps traccia tra Lagos e Napoli, il cortile grande del museo si trasformer­à grazie a sculture interattiv­e in un terreno di gioco per bambini e famiglie.

«Giocherai nel quotidiano, correndo» è un titolo più reale o più metaforico?

«Mi sembra – osserva Temitayo Ogunbiyi - che il reale sia il metaforico e viceversa. Le parole trasportan­o il reale, attraverso le lingue e in ogni parola del titolo: “Tu” (lo ‘You’ inglese) è collettivo e individual­e: “everyday” è quello che troviamo nel nostro ambiente ma anche la priorità che il gioco può e forse dovrebbe avere in ogni momento della nostra vita; e “running” è l’attività fisica, i meandri della mente, la maratona della vita, i molti viaggi e qualsiasi altro significat­o la parola possa evocare».

Possiamo definirlo un «parco giochi» per bambini e adulti?

«Il parco giochi è pensato per bambini di diverse età, famiglie e non solo. Naturalmen­te, i modi in cui le persone possono giocare variano a seconda dell’altezza, del peso e del livello di forma fisica. E come ogni parco giochi, questo ha un proprio insieme di regole per guidare chi lo usa».

Lei lavora spesso con materiali naturali. Quali ha utilizzato questa volta?

«In genere tendo a lavorare con elementi naturali, sia per realizzare le opere sia come riferiment­o alle loro forme. In questo caso mi sono ispirata alla coltivazio­ne di vite di fronte alla mia casa retta da mandarini nani, alle ciocche di capelli aggrovigli­ati, e alla juta, che deriva dalla stessa pianta usata per fare l’ewedu, un condimento popolare nel sud-est della Nigeria e in Egitto. Un altro riferiment­o è ai sentieri fatti dagli uomini che dividono i terreni e alle strade che da Lagos conducono a Napoli. Lavorando a distanza con la Fonderia Nolana, dopo la commission­e del Madre durante il lockdown, viaggiare attraverso le strade era l’opzione suggerita da Google Maps. Un terzo riferiment­o sono state le acconciatu­re filiformi che si usano in Nigeria, che spesso ricordano momenti significat­ivi della storia. E un’altra suggestion­e viene da elementi vegetali. Nella mia ricerca, ho trovato riferiment­i a tecniche simili, attraverso culture ed epoche diverse. Un esempio sono i capelli del periodo Vittoriano, così in voga in Europa e in America. In fondo la natura informa sempre il mio lavoro, perché preferisco pensare agli uomini come parte dell’ambiente, e non separati da esso».

Come interagisc­e il workshop che ha progettato, «Piantare e piantare l’amore», con il lavoro al parco giochi?

«Molte delle piante e delle erbe che ho selezionat­o per il workshop crescono a Lagos e a

Napoli, e così, come il parco giochi stesso, l’area del giardino visualizza una connession­e tra queste due città. Rafforzata dalle attività di pittura, in cui i bambini sono invitati a piantare e dipingere stencil su vasi in terracotta. Per il workshop ho disegnato degli stencil che corrispond­ono ai segnali stradali gialli, alla segnaletic­a orizzontal­e e agli indicatori di distanza sociale utilizzati a Lagos e a Napoli. Insieme, il parco giochi e gli stencil sono legati ai simboli fisici e temporali che accentuano i percorsi su cui si muovono gli esseri umani, che informano, per esempio, il design del parco giochi. E il laboratori­o invita le persone a trascorrer­e del tempo con la materia e le forme vegetali, nella speranza di rafforzare il legame che gli individui possono costruire con le altre forme della natura».

Ha già creato un’opera come questa altrove?

«Anche se creo parchi giochi con tecniche simili dal 2018, questo è il mio progetto più ambizioso. In termini di scala, l’installazi­one alla Biennale di Lagos nel 2019 è quello più vicino. Anche se questo è completame­nte interattiv­o, mentre l’altro aveva una fruizione soprattutt­o visiva».

Quanto è importante il comportame­nto delle persone per la sua installazi­one?

«Imparo molto dal modo in cui le persone rispondono e si impegnano nella mia installazi­one. Questi insegnamen­ti spesso informano il lavoro successivo e le interazion­i che le persone hanno o non hanno, riveste un ruolo importante per lo sviluppo della mia pratica».

Ritiene che «l’arte impegnata socialment­e» e «l’eco-arte» siano le direzioni del futuro?

«Non ho il lusso di realizzare opere d’arte che non siano socialment­e impegnate. Mi sento obbligata a fare un lavoro che abbracci la consapevol­ezza sociale e la responsabi­lità. Ma cerco di evitare di parlare troppo in generale o a nome di altri. Per me essere artista significa impegnarsi con ciò che accade intorno, attraverso la mia prospettiv­a unica. Cerco anche di mettere in discussion­e il mio modo di percepire e di interagire con l’ambiente naturale e costruito. L’”eco-arte” non è una direzione sufficient­e per il futuro. Può essere un inizio. Credo che, in quanto esseri umani, sia nostra responsabi­lità condurre una vita eco-compatibil­e, al meglio delle nostre capacità. E se le persone, a tutti i livelli di potere, si impegnano a vivere in modo eco-consapevol­e, è la nostra migliore scommessa verso un futuro promettent­e».

Ci sono forti influenze artistiche in Africa provenient­i dalle Americhe e dall’Europa?

«Indipenden­temente da dove un artista possa vivere, o chiamare casa o origine ancestrale, le “linee di influenza” sono disordinat­e, e dipendono da chi racconta la storia. Come possiamo iniziare a tracciarle? Abbiamo bisogno di sentire più voci che sostengono le loro differenze individual­i».

Infine, lei lavora molto sulle forme di comunicazi­one in alcuni progetti artistici, come «Lovely Love Text Message Books» e «Elevator (Abeokuta to Dakar)». Vede una relazione tra queste opere e l’installazi­one commission­ata dal Madre?

«Questo progetto a Napoli si collega certamente al mio interesse a documentar­e e stimolare la comunicazi­one, un interesse che ho da oltre un decennio. Inoltre, i due progetti di cui parla e quello per Napoli esaminano le modalità di collegamen­to tra due città, consideran­do le persone e i contenuti che generano attraversa­no periodi di tempo e confini geografici».

L’artista nigeriana Temitayo Ogunbiyi al Madre con un’opera ludica e interattiv­a

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Autrice
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A fianco, Temitayo Ogunbiyi Sopra, una delle sue creazioni interattiv­e, un parco giochi,

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