Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La filosofia di De Rosa nei «campi» doi Koltès
Non c’è dubbio che nell’allestimento di «Nella Solitudine dei campi di cotone» di Bernard Marie Koltès, Andrea De Rosa spinga sull’acceleratore di una riflessione filosofica portata ai limiti della stessa psicoanalisi. Materia molto complessa e già presente nelle maglie del testo dell’autore francese, nel quale due individui si incontrano di notte in una sorta di nonluogo augeriano. E, forte anche del necessario distanziamento di questi tempi, l’edizione presentata a Palazzo Reale per il Napoli Teatro Festival Italia mostra due presenze, che esprimono autocoscienze autonome, che solo a tratti confliggono in un impatto mentale forte, ai limiti di una virtuale fisicità. Che peraltro De Rosa sceglie di scandire fra un uomo e una donna, piuttosto che fra i due uomini della più ambigua versione originale, attribuendo al ruolo femminile della venditrice (affidato a un’algida eppure sensuale Federica Rosellini) una sfera metaforica più ampia che finisce col toccare le istanze stesse dell’arte teatrale. Questa attrice, dimenticata su un palcoscenico, divide il campo con l’indecifrabile contraddittorietà del compratore (un Lino Musella che tocca vertici altissimi nel tratteggiare il rapporto fra linearità e caos, spazio e tempo) a cui tocca il ruolo misantropico più esplicitamente koltesiano. Ovvero la certezza che la solitudine innata resti in ogni caso il partner più fedele di ogni essere umano. Una tesi rafforzata da un vuoto scenico di memoria elisabettiana, punteggiato solo da due riflettori, dal drappo rosso del sipario finale e da un galleggiamento sonoro e cardioritmico, da sempre caro al regista napoletano.