Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La vita metafora del calcio Così Desiderio rivolta le categorie del pallone
In «football», da oggi nelle librerie, l’autore sannita confuta l’assioma di Sartre e boccia il ricorso alla Var
L’assunto di football, da oggi nelle librerie, è chiaro, immediato. Non bisogna andare lontano o leggere tra le righe o le virgole per individuare il gol autentico del libro edito da Liberilibri e scritto dal sannita Giancristiano Desiderio. È il «centrobecco», alias il centravanti, il termine coniato nella sua Sant’Agata de’ Goti che trasferisce gioia, entusiasmo, allegria. «E bisogna nascerci asserisce l’autore - ; il mediano, financo il portiere lo puoi costruire, ma quello che fa gol deve badare al sodo, centrare la porta e capire in men che non si dica come mettere la palla nel sacco».
Il «centrobecco» doc era un calciatore ubiquo come Giovanni Buonocore, che negli anni ‘80 giocava contemporaneamente in due squadre. La mattina a Napoli, con un team di Secondigliano, e il pomeriggio vestiva i colori dell’Alba di Sant’Agata in prima categoria cambiando identità in Giovanni Mancini. Ora sarà pur vero che un grande centravanti deve avere geni speciali ma magari potrebbe anche essere così per un ottimo centrocampista piuttosto che per un terzino o ritrovarsi bomber puro come è successo per Dries Mertens quando il belga pensava di passare la vita sull’esterno. Combinazioni, in buona sostanza, tra i preziosi codici genetici e le sperimentazioni che poi vanno collaudate e sostenute sul rettangolo di gioco: lo specchio degli
skills, delle capacità di un calciatore. Perché se Jean Paul Sartre sosteneva che «il calcio è una metafora della vita», Desiderio ricalibra il pensiero: «La vita è la metafora del calcio». Due squadre che si affrontano sono come due eserciti che si fronteggiano o due amanti che si ritrovano, oppure no: «C’è da recuperare l’identità seriamente giocosa della disciplina che mi sembra sia stata smarrita da un bel po’. La Var (Video assistant referee) - prosegue Desiderio - non ha eliminato né ridotto gli errori arbitrali ma li ha trasformati rimodulando tutto il sistema perché in origine il calcio è stato pensato contemplando la discrezionalità dell’arbitro che certamente include o prevede l’errore. Avere il controllo di tutto è delirante. La storia dei regimi totalitari come quello della vecchia Unione Sovietica e della Germania nazista insegna tanto. Il calcio ha prodotto la libertà di espressione e di pensiero». Il controllo e l’abbandono sono le due fasi della pedata governate certamente dal mestiere e anche da Eupalla, la divinità capace di costruire le sorti di una partita o di un destino di un calciatore o di un allenatore.
La storia dell’allenatore ungherese Arpad Weisz, che ha guidato il grande Bologna nella seconda metà degli anni ’30 e raccontata anche da Matteo Marani nel suo «Dallo scudetto ad Auschwitz», apre le questioni di quanto il Calcio può coinvolgere e muovere spiriti e coscienze ma perde qualche colpo al cospetto dei regimi e dei sistemi politici. «Chi crede nella teoria del complotto come a Napoli succede spesso rivolgendo le attenzioni alla Juventus - chiude Desiderio - non è disposto a cambiare idea e preferisce, come accade sempre nelle mentalità fortemente ideologizzate, cambiare i fatti veri per salvare la teoria falsa».