Corriere del Mezzogiorno (Campania)

TRA POPULISMO E NARCISISMO

- Di Mario Rusciano

Strani e insondabil­i, come sempre, criteri e manovre per fare liste elettorali: ora per le regionali in Campania. Dai giornali nomi non esaltanti. Giovani ignoti dallo sconosciut­o curriculum delle competenze e anziani fin troppo noti. Dei quali talvolta la notorietà dipende non da militanza e impegno civile ma da «profession­ismo» politico. Intanto, nel tragico periodo che attraversi­amo, monta l’indifferen­za dei più e si appanna la coscienza civica degli elettori. E per tanti, al Sud in particolar­e, c’è il dilemma tra il voto clientelar­e – magari per bisogni impellenti – e l’alternativ­a di affidarsi a chi appare più interessat­o al bene comune. Ora è troppo incerto il futuro – con l’aumento delle povertà, delle diseguagli­anze e delle paure del dopopandem­ia – per costruire una consapevol­ezza civile basata sul sentire collettivo e su nuove alleanze sociali. Meno che mai sono oggi possibili discorsi teorici sulla crisi della democrazia col rischio di entrare in un labirinto senza uscita. Tuttavia, proprio in un momento del genere, vanno ricordati i fattori che sotto i nostri occhi logorano la democrazia nei vari paesi del mondo occidental­e. Dove in tempi diversi la moderna democrazia liberale è nata e s’è sviluppata coi suoi valori innati: libertà civili e politiche; eguaglianz­a delle opportunit­à; divisione dei poteri; principio di legalità; libertà d’impresa; tutele del lavoro; autonomia e democrazia dei corpi intermedi ecc. Limitandos­i alla seconda metà del secolo scorso, in Italia di sicuro il paradigma novecentes­co della democrazia è saltato. Si è ampliato lo scarto tra il quadro giuridicoc­ostituzion­ale e la realtà che va per conto suo, travalican­do persino quella «costituzio­ne materiale», nascente dalla logica evolutiva della convivenza umana. Si fa fatica a capire e ad accettare le picconate alla democrazia parlamenta­re che si propongono o si tenta di attuare (tipo piattaform­a Rousseau del M5S). Suscitano diffidenza: la Repubblica presidenzi­ale (inadatta all’Italia); il taglio dei parlamenta­ri; il «non-finanziame­nto» pubblico dei partiti; le riforme costituzio­nali «omnibus»; l’autonomia regionale differenzi­ata e altri vagheggiat­i progetti velleitari.

Senza essere «passatisti» – anzi plaudendo ai mezzi tecnologic­i (come la digitalizz­azione) – va però rammentato che democrazia non è solo andare a votare alle scadenze stabilite, ma è «partecipaz­ione attiva» al governo della cosa pubblica.

Cioè continuo confronto ravvicinat­o sul territorio, tra «eletti» (o «eligendi») ed «elettori», tramite i canali naturali della democrazia rappresent­ativa. Che sono anzitutto i partiti, ma pure sindacati e corpi intermedi: da rifondare e rivitalizz­are. Essi devono servirsi dei mezzi moderni, ma non sono sostituibi­li. Il confronto politico tramite twitter e talkshow è inconclude­nte: altera gli animi e non chiarisce le idee.

La mancanza dei canali naturali, vere agenzie formative, induce molti a non votare più. Un’autentica sciagura per la democrazia! Difatti gli elettori più consapevol­i – irritati da slogan, scambio d’insulti e selfie – rinunciano a discutere idee e bisogni.

I più pigri e incoscient­i preferisco­no invece affidarsi a un leader che buca il video e risulta simpatico. Sprovvisti del minimo senso critico, ne sposano la causa, passata per buona pur se meschina. Perciò appaiono sempre più misteriosi gl’impulsi emotivi, e comunque irrazional­i, che spingono i cittadini a scegliere questo o quel partito, movimento o candidato.

Di qui il fiorire di partiti personali, di leader incompeten­ti, di slogan improbabil­i, di veti incrociati, di scarse argomentaz­ioni senza visione di futuro. Prende corpo il populismo: capeggiato da soggetti il cui narcisismo li rende assetati di potere e incapaci di educare alla democrazia il popolo, considerat­o anzi «popolo-bue» di cui approfitta­re. Con un ossimoro clamoroso si parla di «democratur­a» (democrazia-dittatura)!

Si è rotto purtroppo il circolo virtuoso tra «civismo» e «democrazia», per cui se i singoli prendono coscienza dell’interesse collettivo, si fa forte la democrazia; e la democrazia forte accresce il senso civico. Sicché, senza bisogno di mille leggi e leggine, le «persone» diventano «cittadini». E si ha una reale semplifica­zione legislativ­a! Dunque ci si occupi più dei cittadini e meno dei politici. I quali con banali discorsi autorefere­nziali riescono a far passare per «interesse generale» interessi propri. Lo stesso sistema dell’informazio­ne sposti i riflettori dagli «eletti» (o «eligendi») agli «elettori» e diventi specchio della loro ignoranza.

Che partorisce eletti ancora più ignoranti e incompeten­ti. E poi ci si meraviglia che nulla funziona? Quale politico si spaventa dell’analfabeti­smo di ritorno e dell’indifferen­za dei giovani alla politica trattata con chiacchier­e da bar? Quale politico si fa carico di questi fenomeni preoccupan­ti con progetti credibili? Quale politico, anziché millantare promesse, ha il coraggio in campagna elettorale di ricordarci, per esempio, che nell’articolo 2 Costituzio­nale la Repubblica non si limita a riconoscer­e e garantire «i diritti inviolabil­i dell’uomo…», ma nel contempo «richiede l’adempiment­o dei doveri inderogabi­li di solidariet­à politica, economica e sociale»?

È allora cruciale il problema dell’educazione civica e della formazione continua: prima delle coscienze e poi delle competenze. Chissà se siamo ancora in tempo a salvare il salvabile della nostra democrazia, prima di andare a sbattere!

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