Corriere del Mezzogiorno (Campania)
TRA POPULISMO E NARCISISMO
Strani e insondabili, come sempre, criteri e manovre per fare liste elettorali: ora per le regionali in Campania. Dai giornali nomi non esaltanti. Giovani ignoti dallo sconosciuto curriculum delle competenze e anziani fin troppo noti. Dei quali talvolta la notorietà dipende non da militanza e impegno civile ma da «professionismo» politico. Intanto, nel tragico periodo che attraversiamo, monta l’indifferenza dei più e si appanna la coscienza civica degli elettori. E per tanti, al Sud in particolare, c’è il dilemma tra il voto clientelare – magari per bisogni impellenti – e l’alternativa di affidarsi a chi appare più interessato al bene comune. Ora è troppo incerto il futuro – con l’aumento delle povertà, delle diseguaglianze e delle paure del dopopandemia – per costruire una consapevolezza civile basata sul sentire collettivo e su nuove alleanze sociali. Meno che mai sono oggi possibili discorsi teorici sulla crisi della democrazia col rischio di entrare in un labirinto senza uscita. Tuttavia, proprio in un momento del genere, vanno ricordati i fattori che sotto i nostri occhi logorano la democrazia nei vari paesi del mondo occidentale. Dove in tempi diversi la moderna democrazia liberale è nata e s’è sviluppata coi suoi valori innati: libertà civili e politiche; eguaglianza delle opportunità; divisione dei poteri; principio di legalità; libertà d’impresa; tutele del lavoro; autonomia e democrazia dei corpi intermedi ecc. Limitandosi alla seconda metà del secolo scorso, in Italia di sicuro il paradigma novecentesco della democrazia è saltato. Si è ampliato lo scarto tra il quadro giuridicocostituzionale e la realtà che va per conto suo, travalicando persino quella «costituzione materiale», nascente dalla logica evolutiva della convivenza umana. Si fa fatica a capire e ad accettare le picconate alla democrazia parlamentare che si propongono o si tenta di attuare (tipo piattaforma Rousseau del M5S). Suscitano diffidenza: la Repubblica presidenziale (inadatta all’Italia); il taglio dei parlamentari; il «non-finanziamento» pubblico dei partiti; le riforme costituzionali «omnibus»; l’autonomia regionale differenziata e altri vagheggiati progetti velleitari.
Senza essere «passatisti» – anzi plaudendo ai mezzi tecnologici (come la digitalizzazione) – va però rammentato che democrazia non è solo andare a votare alle scadenze stabilite, ma è «partecipazione attiva» al governo della cosa pubblica.
Cioè continuo confronto ravvicinato sul territorio, tra «eletti» (o «eligendi») ed «elettori», tramite i canali naturali della democrazia rappresentativa. Che sono anzitutto i partiti, ma pure sindacati e corpi intermedi: da rifondare e rivitalizzare. Essi devono servirsi dei mezzi moderni, ma non sono sostituibili. Il confronto politico tramite twitter e talkshow è inconcludente: altera gli animi e non chiarisce le idee.
La mancanza dei canali naturali, vere agenzie formative, induce molti a non votare più. Un’autentica sciagura per la democrazia! Difatti gli elettori più consapevoli – irritati da slogan, scambio d’insulti e selfie – rinunciano a discutere idee e bisogni.
I più pigri e incoscienti preferiscono invece affidarsi a un leader che buca il video e risulta simpatico. Sprovvisti del minimo senso critico, ne sposano la causa, passata per buona pur se meschina. Perciò appaiono sempre più misteriosi gl’impulsi emotivi, e comunque irrazionali, che spingono i cittadini a scegliere questo o quel partito, movimento o candidato.
Di qui il fiorire di partiti personali, di leader incompetenti, di slogan improbabili, di veti incrociati, di scarse argomentazioni senza visione di futuro. Prende corpo il populismo: capeggiato da soggetti il cui narcisismo li rende assetati di potere e incapaci di educare alla democrazia il popolo, considerato anzi «popolo-bue» di cui approfittare. Con un ossimoro clamoroso si parla di «democratura» (democrazia-dittatura)!
Si è rotto purtroppo il circolo virtuoso tra «civismo» e «democrazia», per cui se i singoli prendono coscienza dell’interesse collettivo, si fa forte la democrazia; e la democrazia forte accresce il senso civico. Sicché, senza bisogno di mille leggi e leggine, le «persone» diventano «cittadini». E si ha una reale semplificazione legislativa! Dunque ci si occupi più dei cittadini e meno dei politici. I quali con banali discorsi autoreferenziali riescono a far passare per «interesse generale» interessi propri. Lo stesso sistema dell’informazione sposti i riflettori dagli «eletti» (o «eligendi») agli «elettori» e diventi specchio della loro ignoranza.
Che partorisce eletti ancora più ignoranti e incompetenti. E poi ci si meraviglia che nulla funziona? Quale politico si spaventa dell’analfabetismo di ritorno e dell’indifferenza dei giovani alla politica trattata con chiacchiere da bar? Quale politico si fa carico di questi fenomeni preoccupanti con progetti credibili? Quale politico, anziché millantare promesse, ha il coraggio in campagna elettorale di ricordarci, per esempio, che nell’articolo 2 Costituzionale la Repubblica non si limita a riconoscere e garantire «i diritti inviolabili dell’uomo…», ma nel contempo «richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»?
È allora cruciale il problema dell’educazione civica e della formazione continua: prima delle coscienze e poi delle competenze. Chissà se siamo ancora in tempo a salvare il salvabile della nostra democrazia, prima di andare a sbattere!