Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Cambiamento d’epoca La cura come priorità
Le politiche di sviluppo territoriali e gli strumenti legislativi legati all’attuazione del programma Next Generation messi in atto dalla Commissione Europea il 20 luglio scorso, con l’obiettivo di ricostruire il vecchio continente dopo la pandemia di Covid-19 (per altro non ancora terminata), sembrano essere i grandi assenti dal dibattito politicoelettorale delle regionali 2020. L’uso di quello che nel nostro paese viene impropriamente chiamato Recovery Fund, i suoi indirizzi politici, gli strumenti attuativi e i soggetti amministrativi deputati alla loro attuazione passano in sordina di fronte a bagattelle di cortile e incapacità progettuale dell’attuale classe dirigente. A differenza del ceto politico, altri settori della società impegnati non nella difesa di privilegi particolari ma nel tentativo di affermare un benessere generale, si sono attivati per provare a colmare lacune imbarazzanti del discorso politico-amministrativo del momento storico che stiamo attraversando.
Ad esempio, nel mezzo di quest’estate anomala, due urbanisti con una autorevole esperienza amministrativa (Roberto Giannì e Giovanni Dispoto) e un sociologo urbano di dichiarata fama (Francesco Ceci) già animatori dell’Associazione 4 ottobre, hanno pubblicato per l’editore Giannini un pamphlet prezioso in cui viene argomentata una proposta complessa di Cambiamento d’epoca in materia di politiche territoriali, da attivare come risposta alle forti contraddizioni emerse durante i mesi di confinamento.
L’esperienza del lockdown, nel contesto campano e napoletano, tra le altre cose, ha fatto emergere in maniera drastica una debolezza strutturale della condizione abitativa e della situazione infrastrutturale soprattutto per ciò che riguarda le zone marginali, periferiche e della “città povera”. Quell’insieme di “isole” di abitato popolare (come le definirono alla metà degli anni ’50 i sociologi Luongo e Oliva) incistate nell’ampio centro storico del capoluogo dove, da decenni, l’abitare popolare è segnato da inabitabilità e condizioni socio-sanitarie al limite della dignità.
Si tratta di un testo che, finalmente, esce dai tecnicismi del settore e si rivolge ad un pubblico di lettori ampio e trasversale che ha l’ambizione di immettere nel dibattito pubblico e politico le priorità – non più rimandabili – che gli autori ritengono necessarie per trasformare radicalmente l’approccio verso l’ambiente e la società che ne popola gli spazi e i manufatti.
Al centro del discorso e delle pratiche proposte troviamo l’idea di cura: «intesa nel senso estensivo di tutela dell’umanità e dell’ambiente nel cambiamento d’epoca costruito e naturale». La cura dell’ambiente e degli uomini contrapposta allo sfruttamento antropico del territorio che ha caratterizzato almeno gli ultimi 50 anni di storia creando ineguaglianza e nocività. Pensiamo ai luoghi anonimi puntellati da svincoli autostradali, assi perimetrali, spazi dedicati esclusivamente al traffico automobilistico che costituiscono lo sprawl, o in altri termini la città diffusa cresciuta in modo disordinato intorno ad originari insediamenti urbani. Un’area originata da un consumo di suolo accresciuto enormemente negli ultimi 30 anni e diventato una pratica ormai non più sostenibile. E proprio dalla necessità di fermare il consumo dissennato di suolo a vantaggio di un utilizzo degli spazi tarato sulle funzionalità e priorità della difesa dell’ambiente, partono i tre autori del breve saggio. E non si limitano a circoscrivere la loro argomentazione alla città tout court ma estendono il ragionamento sulle politiche territoriali anche a quell’Italia rurale e periferica che passa, troppo di frequente inosservata e silente. In una certa misura provano a ricomporre la frattura che da tempo separa l’osso e la polpa del paese, riprendendo una nota definizione del meridionalista Manlio Rossi-Doria. Si concentrano infatti sull’inevitabile azione da sviluppare per mantenere livelli di sviluppo adeguati tanto sulle aree costiere (la polpa) che nelle zone interne (l’osso), a partire da una concezione degli interventi che metta tra parentesi l’enfasi delle Grandi Opere a
La mission
Basta con il consumo dissennato di suolo, ora infrastrutture che migliorino la vita