Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL RECOVERY DELLE PERIFERIE
Iamo ormai alle ultime battute della campagna elettorale. Il clima si va surriscaldando, ma sui temi che dovrebbero dominare il dibattito politico vige un silenzio assordante. Le proposte su Napoli di De Luca e Caldoro sono interessanti ma solitarie e al di là della discussione sulla loro fattibilità, risulta evidente che manca un confronto serrato e di ampio respiro sugli obiettivi strategici da conseguire nel prossimo quinquennio. Si preferisce concentrare l’attenzione sulla selva inestricabile delle liste, mentre i programmi sono posti ai margini. Si tratta di un segnale inequivocabile della caduta verticale di una riflessione collettiva che comporta l’assenza di risposte convincenti ai tanti problemi della Campania. Eppure da giorni, sulla scia di un articolo del direttore Enzo d’Errico, su questo giornale si evidenzia la centralità delle Regioni nell’elaborare progetti da finanziare con il Recovery Fund. Anche perché in questi mesi le Regioni si sono poste in modo concorrenziale rispetto al Governo, soprattutto nella gestione del territorio, rivendicando il diritto di imporre misure complementari se non addirittura conflittuali. Su questo aspetto la Campania è tutt’oggi fra le più esposte nel contrapporsi o nel ribadire le proprie prerogative rispetto al potere centrale.
Ora invece che si ha l’opportunità di dire la propria su come spendere le cospicue risorse provenienti dall’Europa, le proposte stentano a essere formulate. Una carenza che può penalizzare pesantemente il Mezzogiorno.
Qui è il vero deficit di autorità della classe politica regionale, innanzitutto nell’incapacità di avere una visione su quali sono le priorità.
Fra queste, per chi è un minimo sensibile ai mali della nostra Regione sono lampanti le squallide condizioni in cui si trovano le periferie di Napoli e della Campania. Ed è proprio su questo aspetto che si misura la frattura fra politica e problemi reali. Si va in quei quartieri, quando raramente si va, solo per elemosinare qualche voto. Ma per chi li solca quotidianamente, sa bene quanto c’è da fare in investimenti pubblici per “organizzare la speranza”, la definizione chiave che segnò la visita a Napoli di papa Giovanni Paolo II nel 1990, ribadita da papa Francesco nel 2015. Una perifericità che seppure include varie zone del centro, come è evidente a Napoli, negli ultimi decenni si è caratterizzata per avere ammassato in modo indistinto e anonimo molte decine di migliaia di famiglie, senza garantire i fondamentali requisiti di vivibilità. Il disastro delle vele, cui faticosamente si sta cercando di porre riparo, sono l’emblema di come sono stati concepiti i quartieri posti in prossimità della cinta urbana a Napoli.
Come pure i recenti fatti di sangue che indicano il malessere che gravita nella provincia partenopea.
Da qui l’urgenza che le periferie siano il tema cruciale su come spendere le risorse del Recovery Fund. Risorse che devono sovvertire il degrado. In realtà, su iniziativa della Federico II alcuni importanti progetti sono stati realizzati a San Giovanni a Teduccio e a Scampia. Occorre proseguire con passione e tenacia su questa strada, rendendo queste aree attrattive, in primo luogo partendo dai giovani. È la sfida lanciata da Renzo Piano, quando parla di una “gigantesca opera di rammendo” in aree già ricche di umanità in cui però si fabbricano desideri e sogni spesso destinati al naufragio.
Del resto, durante il lockdown in questi quartieri si sono accentuate in modo allarmante la povertà (lo dimostra il gran numero di alimenti distribuiti dalle associazioni di volontariato) e la dispersione scolastica. Occorre fare in fretta. Bisogna predisporre un piano organico di rilancio urbanistico e promozione umana volto alla costante cura del territorio cui si deve strettamente congiungere lo sviluppo di servizi e politiche sociali che mettano tutti i cittadini, a prescindere da dove abitano, nelle condizioni di potersi costruire un futuro che rifletta le proprie aspirazioni. Altrimenti si darà nuova linfa al classismo, l’ombra nera che seppure velata da paternalismo ha sovente accompagnato la storia di Napoli.