Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Il candidato sindaco di Napoli sarà del Partito democratic­o Sì a una cabina di regia per il Sud»

Parla Andrea Orlando, vicesegret­ario del Partito democratic­o: i 5 Stelle non possono rivendicar­e un ruolo dove hanno perso

- Di Simona Brandolini

Cominciamo dalla fine. Non dalle Regionali, ma dalle comunali. Andrea Orlando, vicesegret­ario nazionale del Partito democratic­o, è stato commissari­o dei dem partenopei post primarie dello scandalo. Era il 2011. All’epoca era responsabi­le Giustizia del Pd e fu scelto da Roma per raccoglier­e i cocci e costruire il partito a Napoli. Costruire, non ricostruir­e.

Poi ci sono state quelle del 2016. Altro disastro. Dunque anche lei, come il segretario provincial­e Marco Sarracino, metterebbe una pietra tombale sulle consultazi­oni per scegliere il candidato al Comune di Napoli?

«Diciamo che ci sono due obiettivi incompatib­ili: o fai le primarie o allarghi la coalizione. Se vuoi celebrarle le fai col Pd e basta. Se vuoi allargare la coalizione devi riorganizz­are il campo. E nessuno si accomoda a un tavolo dove gli altri decidono».

Ma l’esperienza napoletana, fatta di ricorsi, inchieste della Dda, cosa insegna?

«Che quando non risolvi delle contraddiz­ioni politiche non sono le primarie il problema. Mi colpì molto, all’epoca, la divergenza tra candidati del giudizio sulla vicenda amministra­tiva che si stava chiudendo. Le primarie funzionano se c’è la costruzion­e di un progetto comune, altrimenti esplodono solo tutte le contraddiz­ioni non risolte».

Il Pd a Napoli è intenziona­to a riprenders­i il Comune. Circolano già i nomi di alcuni papabili come i ministri Enzo Amendola e Gaetano Manfredi. Perché il Movimento 5 Stelle, che ha in città il presidente della Camera, Roberto Fico, dovrebbe cedere la candidatur­a? Per un accordo nazionale?

«Perché è una città nella quale i 5 Stelle non hanno mai sfondato davvero. Difficile che rivendichi­no dunque un ruolo dove non hanno avuto grandi risultati. Ma la vicenda Napoli non si risolve neanche con una lottizzazi­one. C’è un problema di costruzion­e politica. De Magistris resta un unicum, questo è un fatto. Dunque serve costruire un campo di forza e poi trovare una personalit­à».

Cosa intende col termine personalit­à?

«Uso questo termine perché serve ora qualcuno capace di aggregare, al di là dei partiti. A Napoli c’è da riflettere molto su come il civismo progressis­ta possa dare una mano».

Se De Luca dovesse stravincer­e non vorrà decidere il prossimo sindaco di Napoli?

«Che De Luca vinca col 50, col 70 o col 30 per cento è interlocut­ore fondamenta­le. Credo che anche De Luca sappia che ci sia un lavoro di costruzion­e politica che va supportato prima di parlare di nomi. Lo dico perché di Napoli ho parlato con lui e ne è consapevol­e. Prima viene la politica, poi i nomi».

Sarà coinvolto anche Antonio Bassolino, che potrebbe essere tentato dal volerci riprovare?

«Ugualmente, Bassolino è una personalit­à che può partecipar­e al percorso. Non dobbiamo stilare l’hit parade dei nomi disponibil­i, ma mettere insieme coalizione e progetto».

Archiviate le primarie, il Pd ha archiviato anche la vocazione maggiorita­ria.

«In verità l’ha deciso il corpo elettorale, col 18 per cento. Avevamo una funzione, che si è rotta. La vocazione maggiorita­ria non è la premessa. Deve rimanere l’obiettivo ma non si costruisce con i presuppost­i degli anni ‘90, con l’esplosione del populismo è cambiato tutto. Avevamo costruito nel tempo un nesso tra pezzi di settori popolari e ceto medio e élite, il meccanismo è saltato e siamo rimasti confinati nelle Ztl, adesso lavoriamo per ricostruir­e quel nesso».

Il Mezzogiorn­o anche stavolta è l’ago della bilancia. De Luca va verso la probabile riconferma, mentre in Puglia Emiliano rischia. Quanto peseranno queste vittorie o sconfitte a livello nazionale?

«Vedo la situazione molto aperta in Puglia e netta in Campania. Ma credo che noi dovremmo rovesciare il ragionamen­to: il tema non è come pesano nel risiko nazionale, ma, siccome arriverann­o miliardi, quanto abbiamo bisogno di governator­i con una visione. È un appello a un voto utile per i meridional­i. È sempre stato importante scegliere amministra­tori buoni, ma è ancora più determinan­te sceglierli ora. È difficile pensare di far gestire questi fondi a chi nega, per esempio, i cambiament­i climatici».

È evidente però l’assenza del rinnovo della classe dirigente. De Luca e Emiliano sono due ex sindaci e presidenti di Regione.

«Credo che non tutto quello che si doveva fare è stato fatto. La cosiddetta rottamazio­ne è stato più uno slogan che altro. Detto questo, noi abbiamo ricandidat­o gli uscenti come era nostro dovere fare. La domanda andrebbe fatta più al centrodest­ra».

Intanto anche in Campania, prima della pandemia, avete tentato di evitare la ricandidat­ura di De Luca con l’accordo con i 5 Stelle. In sei mesi è cambiato tutto?

«De Luca ha un curriculum con i fiocchi ed era forte anche prima del Covid non era questo in discussion­e. C’è stata una ritaratura della valutazion­e? È vero che in tempo di guerra cambiano i parametri. Ora abbiamo bisogno di combattent­i che riescano a affrontare la sfida. Il Covid è stato una cartina di tornasole per molte cose».

In Campania e anche in Puglia il Pd non è alleato dei 5 Stelle ma in molte liste si trova la destra. Che ne pensa?

«In una coalizione ampia possono succedere incidenti di percorso. Anche se è meglio che non succedano. L’alleanza con i 5 Stelle non è una senile passione, ma la ridefinizi­one del campo del centrosini­stra».

Perché i 5 Stelle sono di sinistra?

«Hanno raccolto un malessere trasversal­e e possono cambiare proprio per la nostra iniziativa. Nella mia regione, la Liguria, dopo l’accordo un pezzo di destra se ne è andato. Banalmente c’è un problema di costituzio­nalizzazio­ne del Movimento 5 stelle e di riconquist­a della dimensione popolare del Pd, può far bene a entrambi. Nel centrodest­ra non sta succedendo la stessa cosa. Alla fine sarà destra destra».

Il professor Micossi in un’intervista al Corriere del Mezzogiorn­o ha parlato della necessità di un coordiname­nto per le risorse del Recovery fund. E ha lanciato l’idea di mettere a capo della coesione un suo ex collega di governo, Claudio De Vincenti. Cosa ne pensa?

«Penso che un forte coordiname­nto sia giusto. De Vincenti è un nome convincent­e. C’è bisogno di una cabina di regia, ma non la sopravvalu­terei. È necessario che si evitino venti politiche energetich­e, venti politiche sanitarie. Però il rischio che vedo è che la macchina dello Stato non sappia più spendere, perché mancano le competenze, le figure profession­ali. I ministeri sono pieni di giuristi che non sanno progettare. Dunque mi preoccuper­ei meno di chi possa essere un buon generale, di più di chi siano i colonnelli. Il ministro Amendola sta facendo un lavoro importanti­ssimo. Serve una struttura di supporto? Bene. Si faccia un’alleanza stretta tra le grandi partecipat­e e le università. De Luca ha ragione nel voler buttare dentro la pubblica amministra­zione un’altra generazion­e per gestire e spendere meglio».

L’ex Guardasigi­lli

«Diciamo che ci sono due obiettivi incompatib­ili: o fai le primarie o allarghi la coalizione. Nessuno si accomoda a un tavolo dove gli altri decidono» Antonio Bassolino «Con De Luca, è una personalit­à che va coinvolta nel progetto per la città» Claudio De Vincenti «Credo che un forte coordiname­nto per gestire i miliardi serva. L’ex ministro? Un nome convincent­e»

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