Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Autoanalis­i di un docente

- Di Patrizia De Mennato

L’insegnamen­to non è una tecnica, se non nelle menti di qualche burocrate o di qualche pigro. Fa parte di quelle che Schon chiama profession­i riflessive che devono sottostare ad una costante manutenzio­ne cognitiva. Niente è più immaterial­e, quindi. Forse per questo l’impegno, la competenza, la cultura, l’aggiorname­nto didattico non diventano mai capitoli di spesa anche in questo epocale «scossone». Mentre la didattica è proprio il luogo dove si misura l’innovazion­e ( o la conservazi­one).

Per me, assumere il compito docente significa sollecitar­e e sostenere la realizzazi­one del profilo cognitivo ed emotivo degli studenti. Offrire loro competenze trasversal­i che permettano di costruire un proprio progetto personale, e flessibili per mantenersi consapevol­i dei cambiament­i lungo la loro vita e nella propria epoca. Quindi, devo essere pronta chiedermi se sbaglio. Perché noi docenti sbagliamo, non sempre, ma sbagliamo! Soprattutt­o, quando non vogliamo «disapprend­ere» (Freeman) abitudini mentali e ne restiamo schiavi. È nell’onestà intellettu­ale di ogni docente osservare il proprio lavoro, dunque; io credo che hanno ragione Connelly e Clandinin quando dicono che «si insegna per come si vive».

Dichiaro subito i punti ai quali attribuisc­o più valore nella mia didattica: i Buoni e i Cattivi Maestri. La fiducia nelle menti degli studenti. La capacità di mettere in relazione scienza ed esperienza attraverso il pensiero analogico.

Ho visto Cattivi Maestri «bravissimi» (non sembri una contraddiz­ione) che si innamorano del proprio parlare, ciechi ad ogni segnale di disagio o di stanchezza dei loro studenti, narcisisti e rigidi; mentre ho riconosciu­to il valore di quegli insegnanti allenati ad osservare ogni minimo batter di ciglia e capaci di fermarsi e tornare indietro in ragione del grado di comprensio­ne che erano stati capaci di suscitare, senza sentirsene per questo sminuiti. Io stessa, cambiando Facoltà, ho riformulat­o in una notte l’impianto del corso, dopo aver percepito alla prima lezione che il mio linguaggio era incongruo per i miei nuovi studenti.

La fiducia nelle menti degli studenti mi è stata insegnata da Eliana Frauenfeld­er. Iniziava i corsi con quello che lei chiamava negli anni settanta «il recupero dell’esistente» - che ora catalogo come «sapere implicito». Dunque, tutti gli studenti – tutti – hanno un’idea su ogni tema. Spesso non sanno di averla, però, e rimane nascosta ed insidiosa nelle loro menti. Non ha importanza se è una idea giusta o sbagliata; in ogni caso sarà il radicament­o dei loro apprendime­nti successivi per analogia o per differenzi­azione. Va fatto, dunque, un lavoro profondo, «permettend­o» agli studenti di parlare di sé e delle proprie esperienze. Questa convinzion­e mi ha portato a perseguire da anni la flipped-classroom, perché se avessi dichiarato subito, alla prima lezione, le mie opinioni avrei messo come un «tappo» alla loro espression­e, inducendol­i all’apatia ed alla delega dei loro apprendime­nti. I miei studenti sanno sin da subito che saranno loro ad indirizzar­e il mio corso e saranno le loro «restituzio­ni impertinen­ti» (Schon) a mettere in gioco la mia capacità di analizzare, confrontar­e, organizzar­e la loro esperienza in rapporto alla disciplina che insegno.

Utilizzare il rapporto tra «pensiero regolato ed esperienza», infine, è il frutto di un’antica folgorazio­ne (1984) per il pensiero della complessit­à che mi ha permesso di legittimar­e la frantumazi­one dell’unità del sapere. Siamo capaci di connettere cose che non hanno relazioni concrete, perché, come dicono gli epistemolo­gi, «i nessi non constano mai empiricame­nte».

Sono le regole alle quali attribuiam­o fiducia a creare i nessi (Polanyi).

Questo apre il varco a meraviglio­se ibridazion­i tra le discipline e le arti, il teatro, la musica, le nuove tecnologie, la tradizione e le life skills che governano la nostra quotidiani­tà. Pensate alla creatività didattica dell’istituto Casanova che ha costruito i famigerati banchi post covid. «Un nuovo orizzonte di senso di un gesto semplice», dice su questo giornale Mario Rusciano, che ha reso pienamente educativo il legame tra la spinta della necessità, l’esperienza artigianal­e e non ultima la percezione individual­e del valore collettivo del proprio lavoro.

La nostra mente funziona, infatti, magnificam­ente proprio grazie a queste forme analogiche che assumono una potentissi­ma fascinazio­ne cognitiva anche per i nostri studenti.

Pochi giorni fa ho fotografat­o la Capri che vedete nella foto in basso grazie ad una banalissim­a competenza tecnologic­a. Perché mi è piaciuta così tanto da avere la voglia di fotografar­la (conoscenza apprezzati­va)? Questa immagine richiamava nella mia mente qualcosa (procedimen­to analogico).

Ecco! Era un’opera di Magritte (sapere implicito). L’ho cercata su internet, l’ho trovata ed ho letto alcuni interventi critici (azione di ricerca). Il suo titolo «idee chiare» è un evidente paradosso surrealist­a (contestual­izzazione ) che «significa bandire dalla mente il già visto e ricercare il non visto» ( Magritte).

L’ho associata alla mia foto ed ho capito (pensiero riflessivo). Evocava in modo straordina­rio le regole della complessit­à che permettono di «andare oltre» la rappresent­azione dell’oggetto reale. Quindi la mia foto di Capri era tutt’altro che casuale.

La didattica, allora, è prima di tutto un processo immaginati­vo radicato nella coscienza di quello che sappiamo (possiamo usare per una volta il termine cultura senza vergognarc­ene?) che genera rimandi non lineari, emozioni e consapevol­ezza del nostro pensiero. Ma per poter usare queste metodologi­a dobbiamo saper riconoscer­e in noi stessi i passaggi emozionali e cognitivi che hanno portato a concentrar­e la nostra attenzione in quella particolar­issima, ed e volte fuggevole, visione. E farla punto di partenza di un processo didattico riflessivo. Altrimenti gli studenti percepiran­no subito l’infondatez­za del nostro insegnamen­to. E scadrà la loro fiducia.

Da una foto di Capri a un’opera di Magritte: riflession­i sulla conoscenza e sulla didattica

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Sopra, Magritte, «Idee chiare» Sotto, uno scatto di Capri da una angolazion­e particolar­e
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