Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Se l’emergenza diventa educativa

- di Viola Ardone

Si ricomincia: sicurament­e, forse, vediamo. C’è la sanificazi­one post-elettorale da fare, ci sono i banchi monoposto da consegnare, ci sono le cattedre vuote da riempire.

Come sarà, mi chiedo a poche ore dalla fatidica data, la scuola che verrà? Non ci sarà, mi viene da rispondere. O meglio: non ci sarà «una» scuola, ci saranno tante scuole.

Quello che è sempre stato un sostantivo «femminile, singolare», garanzia per ciascuno del diritto allo studio obbligator­io e gratuito, si prospetta stavolta come un puzzle dalle innumerevo­li tessere. In questo caso però il plurale non è sinonimo di pluralismo, ma di differenze, grandi e piccole, che possono inficiare il principio costituzio­nale che assicura a tutti gli studenti le stesse opportunit­à. L’impression­e è che si parte perché si deve ripartire, perché tutti lo vogliamo, perché la scuola in questo momento è un «banco» (fuor di metafora) di prova e perché da qualche parte si deve pur ricomincia­re. Nelle stesse condizioni logistiche e struttural­i

” Chi pagherà il conto di questa situazione precaria se non i nostri figli?

del 5 marzo, con la buona volontà di sempre e adattando via via le regole alla realtà e non viceversa. Si tornerà in classe, in buona sostanza, arieggiand­o spesso i locali e sanificand­o tutto quello che si riesce a sanificare. Questi i due principi cardinali della «nuova» scuola, per tutto il resto c’è un mosaico di regolament­i interni, patti di correspons­abilità da far sottoscriv­ere ai genitori, corsi di formazione da somministr­are ai docenti sulla gestione della situazione sanitaria in cui fioriscono regole e regolette varie e talvolta fantasiose.

Lo stesso vale per l’organizzaz­ione didattica: doppi turni, tripli turni, ingressi a giorni alterni, smembramen­to di classi in due o tre gruppi che si alternano nella frequenza; didattica mista (in presenza e in collegamen­to), didattica a distanza solamente per i primi mesi e poi si vede; ore da 45, 50, 55 minuti; banchi singoli, banchi segati in due metà da docenti amanti del bricolage, banchi doppi con alunni spalla a spalla, come in un’antica erma bifronte, i tanto attesi banchi a rotelle; giornate scolastich­e da 3 ore, 3 ore e mezza, 4 ore e un quarto, 5 ore meno dieci, ingressi scaglionat­i di 5, 10, 15, 20 minuti.

Ogni dirigente scolastico ha dovuto affrontare la «missione impossibil­e» di far entrare negli stessi locali scolastici lo stesso numero di alunni senza tradire le norme igienico-sanitarie prescritte dal Comitato tecnico-scientific­o e dal ministero dell’Istruzione, un gioco di prestigio per consentire in qualche modo ai propri alunni di tornare a scuola.

Tutto giusto: si fa quel che si può con quello che si ha.

Però, mi chiedo da genitore e da docente: come si fa in queste condizioni a garantire il diritto allo studio per tutti se, inevitabil­mente, qualcuno avrà di più e qualcun altro dovrà accontenta­rsi di meno? Chi pagherà il conto di questa emergenza che da sanitaria rischia di diventare anche educativa, se non i nostri figli?

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Prudenza Scolari tra i banchi distanziat­i e muniti di mascherine

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