Corriere del Mezzogiorno (Campania)
ELEZIONI, IL FATTORE PAURA
La paura, dalle nostre parti, fa 90. Ma, cabala a parte, può fare anche fare 76, 69, 56, 48, 47. Come il lettore attento avrà capito questi non sono numeri del lotto ma le percentuali con cui si sono affermati i futuri governatori nelle loro regioni di competenza (nell’ordine; Veneto, Campania, Liguria, Toscana e Puglia). Una cosa balza subito all’occhio guardando ai risultati delle elezioni regionali, ed è quantomeno strano che nessuno se ne sia accorto o comunque lo abbia fatto notare. Si tratta del fatto che in Liguria o Veneto, Campania, Puglia o Toscana le elezioni in questione sono state sempre vinte dagli stessi partiti che erano da prima in carica. Ciò con l’eccezione delle Marche, Regione che — con tutta la simpatia che merita — rispetto alle altre risulta marginale. Questo è in realtà l’unico dato che esprime senza dubbi la voce chiara e forte dell’elettorato italiano chiamato alle urne nell’occasione. Naturalmente, lungi da noi l’idea di svalutare i meriti acquisiti sul campo da Zaia e De Luca, e neppure quelli magari minori degli altri candidati risultati vincitori. Ma, a ben pensare, sembra che una tale decisa e precisa uniformità — quasi una legge matematica — non possa dipendere solo dai risultati pregressi. No, meglio fidare sul fatto che sia sceso in campo un altro giocatore che abbia contribuito e non poco a fare pendere la bilancia da un lato e non dall’altro. Trattasi, ma a questo punto l’avrete capito, del giocatore con la maglia numero 90.
Fuor di metafora, ciò vuol dire né più e né meno che la paura ha giocato un ruolo decisivo nelle elezioni regionali di cui stiamo parlando (e forse anche nella vittoria schiacciante del «si» al referendum, che ha rafforzato il governo in carica).
Perché ci si chiede a questo punto? La riposta, generica quanto si vuole, è, a parer mio, evidente. La paura è un sentimento conservatore. E, come ci ha insegnato da secoli il granitico Hobbes, è l’altra faccia della rassicurazione. Esplicitamente: più si ha paura più si cerca autorità, più si diffida del nuovo, più ci si rifugia nell’usato sicuro. La paura discende da un feeling ancestrale. Ripete la reazione istintiva del povero neonato che lascia
il suo spazio protetto nella pancia di mammà e viene gettato nel gran fracasso del mondo. E si trova smarrito e impotente a confrontarsi con circostanze sconosciute e talvolta avverse. Solo che, nel caso di cui stiamo parlando, la paura viene dal Covid e dall’atmosfera di incertezza in cui ci siamo trovati a vivere tutti volenti o nolenti. Col risultato che i poveri mortali votanti, spaesati e insicuri, usano la loro scheda elettorale per rinforzare l’autorità in carica, da quella del Presidente della Regione a quella del Governo Nazionale.
Sia ben chiaro, dicendo quanto sopra non abbiamo pretese di dire cose che non siano note a tutti. In un certo senso, ribadiamo anzi la scoperta dell’acqua calda. E sicuramente non c’è bisogno di un filosofo per ripetere quanto più o meno consciamente tutti sappiamo. Ma ci sono un punto di sostanza e un punto di metodo della questione che giova sottolineare. Dal punto di vista della sostanza, se ho ragione tutte le pur dotte disquisizioni su «Se Salvini avesse detto», «se Zingaretti non fosse stato paziente» e via di seguito contano poco o nulla. Dal punto di vista
del metodo, sono anni che quelli che, come il sottoscritto, si occupano di filosofia della politica, sono accusati di prendere lucciole per lanterne. In altre parole, di parlare di princìpi e di ideali rivolgendosi alla testa dell’elettore, mentre ciò che accade nel segreto dell’urna riguarda più la pancia e meno la testa dei decisori. Può essere. Ma non vi sfuggirà che la paura è un sentimento primitivo che riguarda proprio le viscere, la pancia di cui si diceva. E che quindi — parlandone in maniera semplice e diretta — abbiamo spostato il fuoco dell’indagine dalla testa alla pancia. Questo non vuol dire però che la riflessione critica sui principi serva a poco o nulla, ma solo che ogni cosa va collocata nello spazio logico che le spetta. Magari non in questo caso, ma spesso la paura è cattiva consigliera. E bisogna correggere gli impulsi che ne derivano. Le motivazioni ultime delle nostre azioni rispondono sovente a emozioni semplici e ataviche. La teoria serve per cercare di comprenderle e magari criticarle alla luce della ragione. O perlomeno così è lecito sperare.