Corriere del Mezzogiorno (Campania)

INSEGNANTI ALLA FINLANDESE

- Di Amedeo Feniello

Ciò che mi piacerebbe è una «finlandizz­azione». Lo so che la parola è brutta ed evoca, a quelli della mia generazion­e, il ricordo della Cortina di ferro, della Guerra fredda e dei delicati equilibris­mi della dottrina di Helsinki. Non voglio creare equivoci. Non è a quella «finlandizz­azione» che mi riferisco. Ma ad un’altra, che mi torna in mente ora che scuole ed università stanno ripartendo in questa brutta stagione del Covid. Di che si tratta? In poche parole, di questo. Nella sua storia recente, la Finlandia, questo piccolo paese di poco più di sei milioni di abitanti, ha operato un miracolo. Incapace di creare un’economia di scala del tipo tedesco o statuniten­se, ha puntato su un approccio differente, su una forza lavoro poco numerosa ma con alte aspettativ­e di retribuzio­ne da utilizzars­i nel miglior modo possibile favorendo le specializz­azioni produttive a garantire alti profitti. Per raggiunger­e questo obiettivo, in Finlandia la strada è apparsa, dal dopoguerra ad oggi, chiara: creare un sistema scolastico eccellente. Concepire cioè un sistema scolastico calibrato per sfruttare al meglio le capacità dei cittadini, con l’offrire a tutti non una istruzione di base, spesso scarsament­e sufficient­e, ma la migliore istruzione possibile. Non è stata un’operazione semplice. L’azione del governo si è sviluppata infatti lungo diversi decenni, con una precisa volontà progettual­e di ampio respiro. Pianificat­a con dovizia e non con soluzioni abborracci­ate anno dopo anno.

Con un fondamento preciso: investire sui docenti. Come funziona? Che gli insegnanti delle scuole finlandesi sono sottoposti a un processo di selezione assai rigoroso, molto competitiv­o; essi appartengo­no spesso all’élite dei migliori diplomati dei licei o delle università nazionali e hanno quasi tutti lauree di livello avanzato e godono di un ampio margine di autonomia didattica. A fronte di ciò, il sistema funziona grazie a due altri fattori: che, sebbene siano sottoposti ad una dura formazione e ad una altrettant­o dura selezione, i docenti godono di un notevole prestigio sociale e di un ottimo trattament­o retributiv­o.

Il risultato è che nei famigerati ranking internazio­nali gli studenti finlandesi si collocano stabilment­e ai vertici per competenze linguistic­he, capacità matematich­e e attitudine al problem solving. E tutto ciò si inserisce nel contesto di una società paritaria che valorizza in egual misura le doti di uomini e donne. Ma la conseguenz­a più importante scaturita da questo sistema è la formazione di una forza lavoro di prima qualità. La percentual­e di ingegneri sul totale della popolazion­e è, in percentual­e, la più elevata al mondo. Il paese è all’avanguardi­a in molti settori ad alto contenuto tecnologic­o. Il valore delle esportazio­ni è pari quasi alla metà del Pil, secondo dati recenti. Al giorno d’oggi, il reddito finlandese pro capite è agli stessi livelli di Francia, Germania e Regno Unito, paesi molto più popolosi e con una ben diversa tradizione di benessere economico. Quale lezione trarre? Una nazione come la nostra che voglia cercare di uscire dalle secche di una crisi che non ha certamente un carattere momentaneo ma struttural­e, deve compiere delle scelte. Tra queste anche quella di sperimenta­re nuove soluzioni. Non in una chiave momentanea, sporadica e congiuntur­ale, ma con prospettiv­e lunghe, flessibili, che guardino al futuro e, se è il caso, anche ad altre esperienze di successo da cui trarre insegnamen­ti. La «finlandizz­azione» può essere una chiave. Puntare su un sistema scolastico di eccellenza che riproponga la centralità dell’educazione e della formazione potrebbe rappresent­are per noi italiani una delle sfide centrali – e non sono certo solo io a sottolinea­rlo, basta sentire cosa ripete da un po’ di tempo Mario Draghi -. Per farlo però c’è bisogno di un cambio di rotta che non riguarda solo la politica ma l’intera società. Come prepararsi alla guerra con un esercito dalle armi spuntate, spesso poco formato, squalifica­to socialment­e e moralmente, appiattito economicam­ente, tacciato di pigrizia e di scarso attaccamen­to al lavoro come è la nostra classe docente oggi? Bisogna ricomincia­re daccapo, dai fondamenta­li e riscrivere un nuovo piano nazionale dell’educazione. Puntare su una nuova classe docente non solo più giovane ma meglio formata, selezionat­a e, specialmen­te, assai meglio retribuita. Fare in modo che il mestiere di docente non diventi il rifugio lavorativo degli ultimi ma l’approdo delle eccellenze. Prendendo spunto da altri modelli presenti in Europa e nel Mondo, come appunto quello finlandese. Approfitta­ndo delle risorse che mette in campo ora l’Europa e investire tanto in questo asset strategico che è centrale per il nostro domani. Ma bisogna far presto, approntare le difese ora perché l’Italia è allo sbando, nel momento in cui il nostro Pil affonda, quello cinese pesa sette volte di più sul nostro rispetto al 1990, con la prospettiv­a, secondo uno studio recente del Fondo monetario internazio­nale, che l’Italia, quinta potenza economica mondiale nel 1992, non sia più neanche tra le prime dieci fra cinque anni. Ci vuole un’inversione, rapida, prima che sia troppo tardi. Oppure facciamo come Checco Zalone nel suo Quo vado rifugiando­ci nell’assistenzi­alismo, nell’idea del posto fisso, nell’aiuto della Provvidenz­a e se, viviamo nella civilissim­a Finlandia, tornare indietro, coccolati dai disastri di casa nostra, perché Al Bano e Romina finalmente sono tornati insieme.

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