Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Sono rimasta chiusa in un armadietto
Sono rimasta chiusa in un armadietto. L’ho scoperto stamattina, quando sono andata a recuperare libri, verifiche corrette, registro di classe e altri materiali che vi avevo lasciato.
Quelli che vi avevo lasciato l’ultimo giorno prima della chiusura. L’armadietto non era in sala professori perché la sala professori non esiste più. Al suo posto c’è un’aula, e lo spazio che prima accoglieva noi docenti prima dell’inizio delle lezioni e nelle ore «buche» è stato utilizzato per accogliere una classe supplementare.
Giusto così, anche se quel luogo di incontro e di scambio, talvolta di studio e di lavoro mi mancherà, come tante cose che tornando a scuola non ho più trovato: attaccapanni, gessetti e cassino, macchina fotocopiatrice, scaffale per dei libri per gli studenti, laboratori…
La nuova scuola è asettica e un po’ vuota, ridotta all’essenziale, diciamo, ma l’essenziale, per fortuna c’è, perché sono i ragazzi. Dopo un po’ di ricerche ho scoperto che il mio armadietto era finito nella palestra, che, al pari della sala docenti, non sarà più una palestra: al suo interno fervono i lavori per trasformarla
Ho raccolto le mie cose con devozione, come chi torna casa dopo un terremoto e ritrova la vita come l’aveva lasciata
in un paio di aule nuove.
Mens sana in corpore sano,
dicevano gli antichi: quest’anno se tutto andrà bene ci accontenteremo della mens.
Il corpo tanto lo abbiamo affidato ai virologi. In un angolo dello stanzone, tra vecchie parallele di legno e una cesta con i palloni da basket ho ritrovato la cassettiera. Il mio scomparto era quello senza l’etichetta: ne conoscevo il posto da oltre dieci anni e pensavo – con ingenuità – che l’avrei trovato sempre nello stesso punto, ogni mattina. Nel momento in cui ho girato la chiave e ho aperto, ho capito che in quell’angusto vano ero c’ero stata chiusa anche io insieme alle mie cose, per sette mesi.
Sono rimasta lì davanti con la medesima espressone dell’archeologo che riportò alla luce la mummia di Similaun e ho sentito che solo in quel momento per me il tempo presente si allacciava con quello passato. La lunghissima sospensione temporale iniziata il 5 marzo, perdurata per tutti i mesi del lockdown e protrattasi durante i successivi, finiva di fronte a quello sportello nuovamente aperto. Ho raccolto le mie cose con devozione, come chi fa ritorno alla sua casa dopo un terremoto e vi ritrova la vita esattamente come ce l’aveva lasciata: il segnalibro alla pagina di Uno, nessuno e centomila, che stavamo leggendo ad alta voce in seconda, i compiti di prima sulla terza declinazione, il saggio critico sull’Iliade che avevo progettato di far leggere ai ragazzi negli ultimi mesi dell’anno, il vocabolarietto di latino per le esercitazioni in classe, una merendina scaduta. Perché è vero che la scuola, come si è detto, non si è mai interrotta e che la didattica a distanza ha sopperito all’emergenza, però moltissime cose sono rimaste lì dove le avevamo lasciate. Anche una parte di me si era smarrita ed era rimasta rinchiusa nell’armadietto.
Non importa perdersi ogni tanto, ho pensato mentre uscivo dalla palestra con le mie cose in braccio. L’importante, alla fine, è ritrovarsi.