Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Abusi a Napoli Sotterranea I giudici motivano la condanna di Albertini «La vittima è credibile»
Grazia Gagliardi, la giovane donna che ha denunciato e fatto condannare per violenza sessuale Vincenzo Albertini, il patron di Napoli Sotterranea, è «soggetto credibile che ha reso una deposizione precisa, dettagliata e ben circostanziata nonostante il comprensibile stato emotivo dovuto al contesto, alla giovane età, alle pressioni cui è stata sottoposta durante l’esame incrociato delle parti». Lo scrivono, nelle motivazioni della sentenza, i giudici che lo scorso luglio hanno condannato in primo grado l’imprenditore a un anno e otto mesi; una pena inferiore a quella chiesta dall’accusa — sette anni — che si spiega con il riconoscimento, sollecitato dalla difesa, dell’ipotesi di minore gravità del reato prevista del codice.
Secondo il collegio (presidente Concetta Cristiano, giudici Alessandra Ferrigno e Laura De Stefano, che è anche estensore della sentenza), nel corso della lunga testimonianza di Grazia «contraddistinta da momenti di forte commozione sfociata anche nel pianto è emersa una deposizione asciutta e lineare, scevra da ragioni di risentimento o livore nei confronti dell’imputato». I giudici si soffermano poi su uno degli argomenti cavallo di battaglia della difesa, «la presunta vicinanza della parte offesa a un centro sociale riconducibile all’ex Ospedale psichiatrico giudiziario, paventando una macchinazione ordita dal predetto centro sociale per colpire la contestata gestione di
Napoli Sotterranea da parte di Albertini». Il collegio non ha dubbi: «Tali motivazioni non colgono nel segno. La prospettiva appare francamente poco aderente al contesto e alle circostanze di spazio e di tempo del fatto oltre che alla tipologia di reato».
La vicenda risale al 30 gennaio del 2017, anche se Grazia sporse denuncia solo alcuni giorni dopo: era molto scossa e aveva bisogno di riflettere. Quella mattina la giovane andò come al solito nella sede dell’associazione, nel centro storico, per svolgere il suo lavoro di guida turistica; stava andando ad aprire le porte del teatro romano, cui si accede da vico Cinquesanti, quando fu avvicinata da Albertini, che le chiese di entrare nella summa cavea per controllare se fosse tutto a posto. Una volta all’interno, il datore di lavoro la spinse contro un muro e abusò di lei, denudandosi e toccandola nelle parti intime. Solo dopo una decina di minuti Grazia riuscì a divincolarsi e a scappare fuori; diverse persone la videro in lacrime. Di lì a poco la giovane donna si dimise da Napoli Sotterranea, associazione alla quale di recente il Comune ha deciso di non rinnovare il contratto. Albertini ha avuto guai giudiziari anche in sede civile, essendo stato citato in giudizio da diversi dipendenti i quali sostengono di avere lavorato in nero.
Per i giudici, dunque, Grazia — che era assistita dall’avvocato Alessandro Eros D’Alterio — non ha mentito e non c’è stato alcun complotto. Anzi, ci sono dubbi circa l’attendibilità di cinque testi della difesa, tra cui la sorella e la figlia di Albertini, motivo per il quale il collegio ha inviato gli atti in Procura. «Dal dibattimento — si legge nella sentenza — è emerso che tali testimoni abbiano reso dichiarazioni di segno contrario a quanto è emerso dalla complessiva istruttoria». Due testimoni, addirittura, hanno reso dichiarazioni «che sono risultate del tutto contrastanti con quanto l’istruttoria complessiva ha consentito di ricostruire». Il motivo è chiaro: i testimoni «sono legati all’imputato da ragioni personali e professionali». Gli avvocati di Albertini, Sergio Pisani e Maurizio Zuccaro, hanno già annunciato il ricorso in appello.