Corriere del Mezzogiorno (Campania)
COSA SERVE (DAVVERO) ALLE IMPRESE
Da ottobre le imprese private che operano in un’area «caratterizzata da gravi situazioni di disagio socio-economico» possono risparmiare il 30 per cento sugli oneri previdenziali pagati per i dipendenti. Entra in vigore il decreto emanato in agosto dal governo; ed è cosa buona per le aziende meridionali, almeno quelle sopravvissute alla crisi Covid a dispetto di ritardati pagamenti della cassa integrazione e dell’obbligo a non licenziare.
Ne seguono pertinenti domande. Alcune vengono dal passato, altre dall’immediato. Comincerei da queste ultime. Il presidente di Confindustria Bonomi s’è mostrato poco convinto che sgravi previdenziali possano davvero rianimare la languente economia del Mezzogiorno. Pur se non mi pare dissenta dalla sostanza di quanto Pasquale Saraceno teorizzava sessant’anni fa: «L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà». L’affermazione, quasi come un «mantra», da decenni la si è sentita ripetere in ogni dove, politico e scientifico. Perse vigore quando l’andamento produttivo delle regioni del Centro-Nord prese a marciare a pieno ritmo. Non pochi, allora, sbuffavano a sentire parlare del Sud, considerandolo «una palla al piede». Oggi che le cose sono peggiorate per tutti, dall’Alpe al Lilibeo, il «mantra» rientra nelle logiche della politica. Ma lo sgravio contributivo mi par di capire sia piccola cosa. Allevia il conto economico di aziende meridionali; non ne risana le difficoltà.
Neppur è tale da far nascere nuove imprese. Per quelle esistenti, e per le nuove auspicate, assai più ampio dovrebbe essere il ventaglio di azioni politiche. Infrastrutture, tecnologie, riforme burocratiche: un lungo elenco. Settimanalmente vi si richiama questo giornale nella rubrica «Il tempo del Sud» curata da Claudio De Vincenti, economista con esperienza di governo. Di altre questioni, che pur originano nel passato, ripropongono la perdurante attualità tre volumi apparsi di recente. L’ultimo l’ha pubblicato l’editore Rubettino. S’intitola Divario di cittadinanza. Viaggio nella nuova questione meridionale; autori Luca Bianchi e Antonio Fraschilla. Esorta a rinnovata riflessione sull’accrescimento delle diseguaglianze territoriali. L’epidemia ha imposto un brusco risveglio; ha sgretolato presunzioni di autosufficienza regionale; l’ulteriore indebolimento del Sud equivale ad ulteriore arretramento dell’Italia intera nel contesto europeo. Parole dure e veritiere. Le si ritrovano diffuse negli anni, come evidenzia un altro volume: Cassa per il Mezzogiorno: Europa e regioni nella stagione dell’industrializzazione. Tra il 1961 e il 1973, che fu il periodo migliore per l’azione meridionalistica con significative riduzioni dei divari rispetto al Centro-Nord, persistevano però problemi rilevanti. Si continuava ad emigrare; restavano inadeguati servizi pubblici e infrastrutture; massicci investimenti statali non cancellavano disoccupazione né avviavano duraturo sviluppo. L’economista Francesco Dandolo e il dottor Renato Amoroso lo rilevano ripercorrendo pagine che apparvero in quegli anni sul periodico «Informazioni Svimez».
Ancora la Svimez, inesausta produttrice di studi e proposte a vantaggio del Sud. Luca Bianchi, prima citato, n’è il direttore. Da questo istituto la politica ha tratto il nuovo ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano che, con moderato successo, cerca di far valere logiche meridionalistiche nell’agitata quotidianità del Conte bis. Ed alla Svimez, infine, ed al suo presidente Adriano Giannola, va l’apprezzabile iniziativa di pubblicare, in una selezione curata dal medesimo Giannola, gli Scritti su economia italiana e Mezzogiorno di Augusto Graziani, ch’è stato uno dei maggiori economisti e meridionalisti del 900: carattere difficile e d’impietosi giudizi. Qualche accenno? «La politica del governo… ha posto l‘accento sulla riduzione del costo del lavoro… Il risultato è stato che il Mezzogiorno si va gradualmente trasformando… In apparenza ospita attività manifatturiere, in sostanza ospita il segmento più povero della produzione industriale» (1988). «Il potere che altrove viene attribuito alla grande industria o all’alta finanza, va invece attribuito, nelle regioni del Sud, ai ceti che amministrano la spesa pubblica» (1989). «È un fatto difficilmente negabile che nel Mezzogiorno la vita pubblica stia diventando sempre più corrotta, la vita privata sempre più circondata di violenza» (1997). Parole come pietre, ma scarsi gli esiti.