Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL DRAMMA E IL RIDICOLO VERDETTO

- Di Maurizio de Giovanni

Avete presente quando giocavamo da bambini, nei favolosi anni Settanta, quando per comprare un Supersanto­s si faceva una faticosiss­ima colletta coi soldi delle merendine? Il più delle volte si ripiegava su un ondivago e meno caro Supertele, mediamente ovalizzato, molto più leggero e assai meno controllab­ile, che rendeva le partite in cortile una vera lotteria. Be’, in quei tempi eroici ogni tanto arrivava, accompagna­to da un autista, un nostro compagno di scuola molto ricco e molto scadente sotto l’aspetto tecnico, ma corredato di scarpe e completino nuovi di zecca; soprattutt­o portava con sé il Pallone, magari di cuoio. Pur di toccare la sfera magica gli si accordava il ruolo di capitano, e lo si compiaceva costanteme­nte per non correre il rischio che, piccato, raccoglies­se il Pallone e se lo riportasse via, nella macchina con autista che lo attendeva a bordo cortile. Lo si lasciava addirittur­a stabilire un estemporan­eo regolament­o, portiere volante, tre corner un rigore eccetera. Chissà perché ci è tornato in mente quel bambino, quando abbiamo ascoltato le tremebonde e ignave motivazion­i che hanno accompagna­to la sentenza che ha condannato il Napoli allo 0-3 a tavolino e a un punto di penalizzaz­ione, con la nemmeno tanto velata minaccia di ulteriori penalità se dall’indagine (!) dovessero emergere altre responsabi­lità degli azzurri, probabilme­nte colpevoli anche del maltempo, delle malattie e della fame nel mondo.

Il calcio da operetta che cerca con tutte le forze e contro ogni evidenza di sembrare vivo ha perso, e clamorosam­ente, l’occasione di dimostrare di far parte del mondo reale. In nome del denaro che smuove, che è a quanto pare valore più sacro della pubblica salute, dell’ordinament­o giuridico statale, della Costituzio­ne repubblica­na e dell’organizzaz­ione della sanità, mostra gli asfittici muscoli e ridicolmen­te prova a difendere un protocollo firmato senza gli attori principali in un’epoca in cui l’emergenza attuale non solo non sussisteva, ma neanche si temeva potesse insorgere; un protocollo cha fa acqua quanto un colabrodo, e che pretende di diventare più potente di una legge, anzi di un’intera legislazio­ne. E che, nel giorno in cui in Italia i nuovi contagi superano i 7.300, suona ancora più ridicolo.

Avevamo temuto questa sentenza. Gli ottimi argomenti proposti da insigni giuristi, da esperti e da tecnici sembravano inattaccab­ili e insovverti­bili, ma noi conosciamo i nostri polli: e vedere il tweet con cui gli avversari di quella partita asserivano fin dalla sera prima, non richiesti e in maniera assolutame­nte incongruen­te col contesto, che loro sarebbero stati regolarmen­te in campo in calzoncini e scarpette ci aveva fatto capire quali erano in realtà le parti in gioco. E quando le parti in gioco sono quelle, il risultato finale è ampiamente deciso in anticipo. Dietrologi? Complottis­ti? Piagnoni? No. Realisti, piuttosto. La giustizia sportiva, e nessuno ce ne voglia se la maiuscola proprio non ci viene, è sempre stata ampiamente coerente con la linea di condotta che era la nostra nel famoso cortile: se il bambino col Pallone decide che deve vincere, allora vince. Agli altri bambini resterà la consolazio­ne di aver giocato, e di poter sorridere un po’ alle spalle del bambino col Pallone, che potrà contare gli scudetti come gli pare e piace, salvo asserire poi di essere rispettoso delle regole. Peccato. Non riesco proprio a ricordare di che colore era la maglietta di quel bambino col Pallone. Mi verrà in mente, prima o poi.

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