Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL DRAMMA E IL RIDICOLO VERDETTO
Avete presente quando giocavamo da bambini, nei favolosi anni Settanta, quando per comprare un Supersantos si faceva una faticosissima colletta coi soldi delle merendine? Il più delle volte si ripiegava su un ondivago e meno caro Supertele, mediamente ovalizzato, molto più leggero e assai meno controllabile, che rendeva le partite in cortile una vera lotteria. Be’, in quei tempi eroici ogni tanto arrivava, accompagnato da un autista, un nostro compagno di scuola molto ricco e molto scadente sotto l’aspetto tecnico, ma corredato di scarpe e completino nuovi di zecca; soprattutto portava con sé il Pallone, magari di cuoio. Pur di toccare la sfera magica gli si accordava il ruolo di capitano, e lo si compiaceva costantemente per non correre il rischio che, piccato, raccogliesse il Pallone e se lo riportasse via, nella macchina con autista che lo attendeva a bordo cortile. Lo si lasciava addirittura stabilire un estemporaneo regolamento, portiere volante, tre corner un rigore eccetera. Chissà perché ci è tornato in mente quel bambino, quando abbiamo ascoltato le tremebonde e ignave motivazioni che hanno accompagnato la sentenza che ha condannato il Napoli allo 0-3 a tavolino e a un punto di penalizzazione, con la nemmeno tanto velata minaccia di ulteriori penalità se dall’indagine (!) dovessero emergere altre responsabilità degli azzurri, probabilmente colpevoli anche del maltempo, delle malattie e della fame nel mondo.
Il calcio da operetta che cerca con tutte le forze e contro ogni evidenza di sembrare vivo ha perso, e clamorosamente, l’occasione di dimostrare di far parte del mondo reale. In nome del denaro che smuove, che è a quanto pare valore più sacro della pubblica salute, dell’ordinamento giuridico statale, della Costituzione repubblicana e dell’organizzazione della sanità, mostra gli asfittici muscoli e ridicolmente prova a difendere un protocollo firmato senza gli attori principali in un’epoca in cui l’emergenza attuale non solo non sussisteva, ma neanche si temeva potesse insorgere; un protocollo cha fa acqua quanto un colabrodo, e che pretende di diventare più potente di una legge, anzi di un’intera legislazione. E che, nel giorno in cui in Italia i nuovi contagi superano i 7.300, suona ancora più ridicolo.
Avevamo temuto questa sentenza. Gli ottimi argomenti proposti da insigni giuristi, da esperti e da tecnici sembravano inattaccabili e insovvertibili, ma noi conosciamo i nostri polli: e vedere il tweet con cui gli avversari di quella partita asserivano fin dalla sera prima, non richiesti e in maniera assolutamente incongruente col contesto, che loro sarebbero stati regolarmente in campo in calzoncini e scarpette ci aveva fatto capire quali erano in realtà le parti in gioco. E quando le parti in gioco sono quelle, il risultato finale è ampiamente deciso in anticipo. Dietrologi? Complottisti? Piagnoni? No. Realisti, piuttosto. La giustizia sportiva, e nessuno ce ne voglia se la maiuscola proprio non ci viene, è sempre stata ampiamente coerente con la linea di condotta che era la nostra nel famoso cortile: se il bambino col Pallone decide che deve vincere, allora vince. Agli altri bambini resterà la consolazione di aver giocato, e di poter sorridere un po’ alle spalle del bambino col Pallone, che potrà contare gli scudetti come gli pare e piace, salvo asserire poi di essere rispettoso delle regole. Peccato. Non riesco proprio a ricordare di che colore era la maglietta di quel bambino col Pallone. Mi verrà in mente, prima o poi.