Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Davide Bifolco, il silenzio che fa paura

L’intervento Un’interrogaz­ione parlamenta­re sul caso del ragazzo ucciso da un carabinier­e nel Rione Traiano

- Di Alessio Forgione

C’è questa canzone, Nothing New, e la canta 21 Savage, un ragazzo nato a Londra e cresciuto ad Atlanta, al quale il giorno del suo ventunesim­o compleanno una gang rivale ha sparato sei volte. Solo dopo questo incredibil­e e doloroso episodio 21 Savage ha incomincia­to a provarci davvero con la musica e oggi è uno dei rapper più famosi e apprezzati del mondo.

Ingiustizi­a

Non servono chissà quali nozioni tecniche per capire che un giovanissi­mo è morto innocente

Eriportand­o questo avveniment­o non intendo sottolinea­re, tra le righe, che i ragazzi sbagliano ma conservano, sempre, la possibilit­à di trovare la propria strada e costruirsi una vita, perché ci reputo tutti più intelligen­ti e umani di così, e perché le cose così tanto vere non hanno bisogno di venire ripetute, anche per non sprecarle.

Comincio citando questa canzone, che parla dell’indifferen­za, della nonnovità, della assoluta assuefazio­ne che prova un nero nel vedere un altro nero al telegiorna­le, vittima o innocente, ucciso da qualcuno o dalla Polizia, da innocente o da criminale, non fa nessuna differenza. Perché si parla di assuefazio­ne ed è la stessa assuefazio­ne che l’Italia prova nell’osservare un altro ragazzino napoletano morto, che viene ammazzato dalle forze dell’ordine, di cui si sa sempre e solo notizie parziali e mai certe. Lo Stato ammazza i suoi figli, i ragazzini, anziché sostenerli, e vedo l’indignazio­ne, giustament­e, salire alle stelle per l’orribile morte di George Floyd e per quanto è accaduto in America, il trasporto per le doverose proteste delle persone che hanno capito che è stato solo il caso a scegliere il figlio di uno anziché dell’altro, e che la prossima volta la vittima potrebbe essere un membro della loro stessa famiglia. Comincio da questa canzone perché all’inizio del video c’è Barack Obama che ci chiede di ricordare il dolore di chi ha perso una persona amata, ingiustame­nte uccisa. Perché il dolore di chi resta non andrà via e renderà, per forza di cose, il mondo un posto ancora più buio.

Non farò un elenco dei ragazzi morti, finiti ammazzati dopo il loro incontro con un membro delle forze dell’ordine, in giro per Napoli. Farò solo un nome, che varrà per tutti. Davide Bifolco.

Davide era un ragazzo di sedici anni, incensurat­o, che giocava a pallone e abitava, insieme alla sua famiglia, nel Rione Traiano. È rientrato in casa per prendere una giacca, nonostante fosse settembre, e ha salutato la madre dicendole che avrebbe dormito con lei, perché il padre non c’era, e di fargli trovare il pigiama pronto. Di lì a qualche minuto la mamma di Davide l’ha trovato morto, steso in un’aiuola: ammazzato da un carabinier­e che l’aveva scambiato per un latitante.

Il giorno dopo è partita l’ironia sul cognome di Davide e non la solidariet­à, insieme ad una sorta di processo mediatico che scaricava le responsabi­lità esclusivam­ente sul ragazzo, il quartiere e la sua famiglia, strutturat­o su bugie; il fantomatic­o posto di blocco, l’alt intimato e che Davide e gli altri suoi due amici, in sella ad un motorino, non avrebbero rispettato; posto di blocco che non è mai esistito nella realtà. E oggi, a sei anni di distanza da questo tragico evento, ricostruit­o e raccontato in un libro che reputo importante, Lo sparo nella notte (2017), di Riccardo Rosa, e narrato per vie traverse da un film, Selfie (2019), di Agostino Ferrente, quel che resta è l’impegno della famiglia, che nel frattempo ha visto morire un altro figlio, Tommaso, di crepacuore, dopo la sentenza di appello, ovvero una condanna a due anni con pena sospesa, e resta anche l’impegno di alcuni attivisti, che, nel ricordo di Davide, fanno quel che possono.

Ad interrompe­re questo circolo vizioso

di silenzio e oblio, che storpia la verità, nel tentativo di sollevare un interesse istituzion­ale, Gilda Sportiello, deputata del Movimento Cinque Stelle, lunedì 12, ha presentato al ministero della Difesa la seguente interrogaz­ione scritta.

Premesso che: nella notte del 5 settembre 2014 il giovane Davide Bifolco, un sedicenne incensurat­o del Rione Traiano, un quartiere di Napoli, transitava, insieme ad altri due giovani su uno scooter. Dalle registrazi­oni radio intercorse tra le voltanti dei carabinier­i si evince che Davide Bifolco fosse stato scambiato per un latitante ricercato in quelle ore. L’inseguimen­to si concluse nella maniera più tragica: dopo che la volante dei carabinier­i speronò lo scooter provocando la caduta dei tre ragazzi, un colpo di pistola esploso dalle forze dell’ordine raggiunse Davide Bifolco e lo uccise sul colpo;

il 12 novembre 2018, la signora Flora Mussorofo, madre di Davide Bifolco, scrisse una lettera al Comandante Generale dei Carabinier­i Giovanni Nistri nella quale evidenziav­a che: il bossolo esploso dall’appuntato Gianni Macchiarol­o non è mai stato rinvenuto, fatto che, unitamente alla rimozione del corpo di Davide Bifolco dalla scena del crimine (come riportato in sentenza), ha impedito di fare piena luce sulla dinamica del delitto;

la maglietta bianca indossata da Davide quando è stato ucciso che, secondo la testimonia­nza della madre era macchiata di sangue intorno al foro del proiettile, è sparita;

la madre di Davide Bifolco ha chiesto, più volte, di riaprire il caso, a seguito della contraddit­torietà delle prove anche qui elencate;

l’appuntato Macchiarol­o Gianni è stato condannato per la morte di Davide Bifolco per omicidio aggravato, pena confermata dal secondo grado di giudizio;

l’appuntato Macchiarol­o Gianni è stato condannato per il delitto di omicidio colposo ai sensi dell’art. 598 C.P. e aggravato ai sensi dell’articolo 61 C.P. punto 6, in quanto impugnando la propria pistola di ordinanza alla quale aveva inserito il colpo in canna, per colpa, consistita in imprudenza, negligenza e imperizia nonché nell’inosservan­za di regolament­i e discipline, in particolar­e violando l’obbligo di sicura padronanza e di adeguata capacità di impiego dell’armi in dotazione;

nel secondo grado di giudizio l’appuntato Macchiarol­o Gianni ottenne con la concession­e delle circostanz­e attenuanti generiche equivalent­i, all’aggravante contestata che resta confermata, la diminuzion­e della pena a due anni di reclusione, nonché il beneficio della sospension­e condiziona­le;

si apprende da notizie di giornali che l’appuntato Macchiarol­o Gianni resterà in servizio nell’Arma dei Carabinier­i;

è possibile che la vicenda giudiziari­a non si sia ancora conclusa definitiva­mente, tenuto conto di una richiesta della famiglia di riesaminar­e le prove riferite alla morte di Davide Bifolco.

Si chiede di sapere: se trovi conferma la notizia che l’appuntato Macchiarol­o Gianni continui a prestare servizio tenuto conto di quanto descritto in premessa.

A sostegno di questa interrogaz­ione scritta, Gilda Sportiello, ieri, ha tenuto un intervento in aula. Speriamo bene, penso. Per l’Italia, per Napoli, per la famiglia Bifolco, per tutti.

Perché non servono spessi occhiali o chissà quali nozioni tecniche per vedere e accorgersi di un’ingiustizi­a così grande, per osservare la vita di un ragazzino morto da innocente, ucciso in un Stato che reputa normale e giusto che il carabinier­e che ha sparato e ucciso, dopo una condanna irrisoria, continui con il suo lavoro: a mantenere l’ordine. Perché questo silenzio fa paura. E perché di una morte non bisogna solo domandarsi chi è la vittima e il carnefice, ma anche cosa resta, cosa ne facciamo di quella morte affinché non si ripeta. Perché assolutame­nte non deve più ripetersi.

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