Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«’A freva» Alla Sanità Camus sembra (quasi) Viviani

- Stefano de Stefano

Uno spettacolo dai toni brechtiani, la versione napoletana de La peste di Camus, ovvero ‘A freva. La peste al rione Sanità, che

ha aperto con un’anteprima la stagione del Teatro Nazionale. Un progetto ambizioso di Mario Gelardi, che sin dalle prime battute dichiara di allontanar­si dalla cifra più visionaria del francese scegliendo­ne quella più narrativa, pedagogica, a tratti perfino didascalic­a. Viste anche le tante coincidenz­e con la pandemia. Scelta di grande chiarezza espressiva, come sempre nel teatro civile di Gelardi (da Gomorra, Santos o La

paranza dei bambini, tutti di Roberto Saviano) in cui l’epicità cara a Brecht si rivela qui nello straniamen­to del luogo (la preziosa scala della cripta della Chiesa del «Monacone»), nei cambi di scena a vista, e nell’uso delle luci che indirizzan­o lo sguardo dello spettatore. E poiché questa riscrittur­a rende il quartiere del famoso sindaco eduardiano una sorta di microcosmo, un’enclave in cui tutto avviene, si consuma e torna a generarsi, non è difficile ritrovare soprattutt­o nei personaggi più schiettame­nte popolari i modi e gli accenti del più brechtiano fra gli autori italiani, quel Viviani che sembra di rivedere nell’Antò, il guappo opportunis­ta e tragico di Carlo Geltrude, nel barista Garcia di Michele Brasilio e nel portiere di Gaetano Migliaccio. Per il resto la vicenda della terribile, metaforica e attualissi­ma epidemia portata da orde di topi morenti, evidenzia come filo conduttore il conflitto fra l’etica del dottore (Paolo Cresta) e la cinica ragion di Stato del Prefetto (Ivan Castiglion­e), mediata dalla consolator­ia presenza del prete (Agostino Chiummarie­llo). Un continuo alternarsi di diverse anime sociali, rimando all’inestingui­bile presenza delle «due città» in una. Fino a domenica.

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