Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«’A freva» Alla Sanità Camus sembra (quasi) Viviani
Uno spettacolo dai toni brechtiani, la versione napoletana de La peste di Camus, ovvero ‘A freva. La peste al rione Sanità, che
ha aperto con un’anteprima la stagione del Teatro Nazionale. Un progetto ambizioso di Mario Gelardi, che sin dalle prime battute dichiara di allontanarsi dalla cifra più visionaria del francese scegliendone quella più narrativa, pedagogica, a tratti perfino didascalica. Viste anche le tante coincidenze con la pandemia. Scelta di grande chiarezza espressiva, come sempre nel teatro civile di Gelardi (da Gomorra, Santos o La
paranza dei bambini, tutti di Roberto Saviano) in cui l’epicità cara a Brecht si rivela qui nello straniamento del luogo (la preziosa scala della cripta della Chiesa del «Monacone»), nei cambi di scena a vista, e nell’uso delle luci che indirizzano lo sguardo dello spettatore. E poiché questa riscrittura rende il quartiere del famoso sindaco eduardiano una sorta di microcosmo, un’enclave in cui tutto avviene, si consuma e torna a generarsi, non è difficile ritrovare soprattutto nei personaggi più schiettamente popolari i modi e gli accenti del più brechtiano fra gli autori italiani, quel Viviani che sembra di rivedere nell’Antò, il guappo opportunista e tragico di Carlo Geltrude, nel barista Garcia di Michele Brasilio e nel portiere di Gaetano Migliaccio. Per il resto la vicenda della terribile, metaforica e attualissima epidemia portata da orde di topi morenti, evidenzia come filo conduttore il conflitto fra l’etica del dottore (Paolo Cresta) e la cinica ragion di Stato del Prefetto (Ivan Castiglione), mediata dalla consolatoria presenza del prete (Agostino Chiummariello). Un continuo alternarsi di diverse anime sociali, rimando all’inestinguibile presenza delle «due città» in una. Fino a domenica.