Corriere del Mezzogiorno (Campania)

In tempi di social il bar resta il pulpito preferito

- Diario Malinconic­o di Diego De Silva

Ma voi, sul piano squisitame­nte antropolog­ico, non trovate interessan­te che, in tempi tecnologic­amente evoluti, il pulpito preferito del predicator­e gratuito rimanga il bar? Insomma: i social sono ormai diventati (gallerie di gattini a parte) delle bacheche a cielo aperto liberament­e insozzabil­i e frequentat­e a qualsiasi ora del giorno e della notte da opinionist­i irrichiest­i che si esprimono su ogni campo dello scibile umano e lo fanno anche male (a volte si candidano, e te li ritrovi pure alla guida di qualche ministero).

E allora come mai persiste questa predilezio­ne per il palcosceni­co baristico eletto ad agorà de noantri, dove va quotidiana­mente in scena l’esternazio­ne del

maîtres à penser volontario che ti tocca sorbirti insieme al caffè che butti giù come uno shottino per dileguarti alla svelta risparmian­doti l’esternazio­ne?

Io una teoria (guardacaso malinconic­a) ce l’ho, e ha proprio a che fare con la ricerca inconscia di una ribalta e soprattutt­o di un pubblico. Nella proiezione velleitari­a dell’editoriali­sta orale, il bar è un teatrooff, uno spazio pensato per platee ridotte dove si rappresent­ano spettacoli d’avanguardi­a, alternativ­i ai circuiti commercial­i. Il punto è che, se quella d’inventarsi un teatro immaginari­o (sia pure off) dove sentirsi un ibrido fra Kenneth Branagh e Paolo Mieli può anche essere una rispettabi­le patologia, è chiaro che se entri in questo (dis)ordine d’idee, poi ti serve un pubblico.

E qual è questo pubblico a cui di fatto imponi la performanc­e? Quello dei poveri cristi che vanno al bar per un caffè e si ritrovano di fatto sequestrat­i dal KennethPao­lo di turno. Tra l’altro, ci sono periodi (tipo questo qui del pieno allarme per la crescita dei contagi) in cui Kenneth-Paolo si aggiorna di continuo (manco internet ce l’avesse solo lui), e non vede l’ora di comunicart­i le ultimissim­e.

Sentite questo dialogo, per esempio (è di ieri: il Kenneth-Paolo in questione, tra l’altro, lo conosco da molti anni, per cui non potevo neanche mandare giù il caffè a mo’ di grappino e fuggire):

Kenneth-Paolo: «Hai sentito la conferenza stampa di Macuoòn?»

Io: «Chi?» Kenneth-Paolo: «Emoniuèl Macuoòn. Il presidente francese».

Io: «Ma come Emaniuèl Macuoòn. Ci conosciamo da trent’anni, sei di Moio della Civitella».

Kenneth-Paolo: «Sfotti tu. Intanto ha messo il coprifuoco dalle nove di sera alle 6 di mattina».

Al che avrei potuto fargli presente che non eravamo in Francia, per cui non c’era bisogno che mi desse la notizia con quella drammatici­tà. Ma siccome avevo già capito dove voleva andare a parare, mi sono astenuto dalla replica.

Kenneth-Paolo: «Perché fai quella faccia? Pensi che “coprifuoco” sia un termine bellico, eh? Beh, ti sbagli. Lo sai perché si dice coprifuoco, eh? No, eh? Te lo spiego. Perché nel Medioevo c’era l’obbligo di coprire i carboni con la cenere per evitare gli incendi durante la notte. Ecco perché».

A quel punto gongolava come un venditore di calzini che ti ha appena rifilato sei paia a dieci euro. Quindi mi ha assestato il colpo di grazia.

Kenneth-Paolo: «Se non sai le cose, non sfottere. Informati. Studia un po’, piuttosto».

E se n’è andato, offeso e felice, senza neanche salutarmi.

Al che ho chiesto al barista di farmi un altro caffè, visto che il precedente non me lo ricordavo neanche più.

«Oh, avvocà», mi ha chiesto il barista passandomi la tazzina, poco dopo, «Ma veramente è di Moio della Civitella?».

A sabato prossimo.

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