Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Da prof dico: giusto non andare in classe
Lo dico subito: non voglio fare polemiche, né scriverò queste parole qui di seguito per rispondere a qualcuno, o per innescare un domino di accuse. Perché in questo momento, a mio modesto parere, c’è solo un vero problema, ovvero questo maledetto Coronavirus.
” Non è solo l’aula, ma il tragitto per arrivarci, i cortili prima della campanella, l’uscita, i bagni, i corridoi
E ovviamente tutte le relative conseguenze, sanitarie ed economiche. E sì, scolastiche. Andrò in controtendenza, forse, ma per me De Luca ha fatto bene a chiudere le scuole. Le scuole sono una delle principali bombe sulla società, e chi pensa solo alla classe (primaria o secondaria che sia) seduta, composta, nei banchetti singoli, con la mascherina in viso e la mano alzata per andare a fare pipì, mi sa che piede in una scuola non ce l’ha mai messo.
Perché la scuola non è solo l’aula, ma il tragitto per arrivarci (e sì: i mezzi pubblici andrebbero potenziati, ma siamo sempre di fronte a una pandemia imprevista e le strade cittadine quelle sono, il traffico quello rimane e le risorse economiche, più o meno, pure), i cortili prima della campanella, l’uscita, i bagni, i corridoi, e tutto quello che il contatto umano ed emotivo prevede in una scatola magica come quella della scuola. E poi non ho mai visto tanti genitori indignati per la scelta del Governatore della Campania. Come tanti ne vedevo allucinati per la decisione iniziale di aprire gli istituti. Chiaro, ognuno ha la sua opinione. Ma molte scuole, per molte famiglie, sono oggi ridotte a meri luoghi di parcheggio per i loro discendenti. Allora sì che, se il parcheggio chiude, la scuola diventa utile, ma quando la scuola è quotidiana, di compiti, insegnamenti, sgridate, dove sono quei genitori? Quanti di loro seguono per davvero i loro figli? Quanti, ancora, si donano per la loro istruzione, quella generale, generica, di vita. Dove un telefono e un social sono da centellinare e un libro, una passeggiata o del tempo insieme, la normalità? Possiamo parlarne all’infinito. Mi accuserebbero (magari lo faranno già ora) di generalizzare. Ed è proprio per questo che è impossibile districare questa matassa spinosa di contraddizioni. Che la scuola sia il futuro e vada fatta in presenza su questo non ci piove, lavoro ogni settimana con i bambini di una elementare e so di cosa parlo. Sarò sempre un fervente sostenitore del rispetto per la scuola e della sua valorizzazione, come veicolo necessario per la crescita umana, prima che professionale. Ma siamo di fronte a un’emergenza, e di fronte a un’emergenza è necessario proteggersi. Perché poi quante comunioni, feste, serate in pizzeria, hanno trascorso gli stessi genitori infervorati, senza mascherina nelle foto di gruppo con i loro bambini e gli amichetti, prima di arrivare a questo punto? Non fatemi parlare, che i social network ce li abbiamo tutti, ahinoi.
La responsabilità di ogni chiusura, purtroppo, è anche (se non soprattutto) nostra. Il Governo ci ha concesso un lassismo estivo sul quale, personalmente, ero in grande disaccordo (specie, per dire, discoteche aperte e università chiuse, da vomito). Ma questo non significa che noi cittadini possiamo comportarci in maniera irresponsabile. O no? Scaricare il barile non serve. Serve unirci, di nuovo, ancora, purtroppo e maledizione, a distanza. Far scendere i contagi di questa seconda ondata. Purtroppo, sacrificando anche settimane e, forse, mesi di scuola in presenza. O preferiamo un sistema sanitario al collasso dove poi, magari anche i nostri figli, non saranno curati al meglio per una banale polmonite, in ospedali saturi in tutti i reparti?